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La nuova ricerca storica su Gesú

2007-01-26- “Avvenire”, 26 Gennaio 2007, p. 30

1. Nuova luce sulle origini del cristianesimo

È in corso di pubblicazione un’opera monumentale di James Dunn, professore emerito dell’università di Durham in Inghilterra, autore in passato di studi sul Nuovo Testamento che hanno fatto epoca. L’opera in tre volumi è intitolata “Christianity in the Making” e nella traduzione italiana “Gli albori del cristianesimo” (Paideia, Brescia 2006). Il primo volume di oltre mille pagine, intitolato Jesus Remembered, “La memoria di Gesú”, nella edizione italiana è stato diviso per comodità in tre volumi, di cui i primi due, disponibili dall’Ottobre scorso, hanno rispettivamente come sottotitolo: “Fede e Gesú storico” e “La missione di Gesú”.

Credo che l’opera chiuda un ciclo e costringa a voltare pagina nelle ricerche su Gesù. In essa, dopo una serrata analisi dei risultati degli ultimi tre secoli di ricerche, lo studioso giunge alla conclusione che non c’è stata nessuna cesura tra il Gesú predicante e il Gesú predicato e quindi tra il Gesú della storia e quello della fede. Questa non è nata dopo la Pasqua, ma con i primi incontri dei discepoli, i quali sono divenuti discepoli proprio perché hanno creduto nel Rabbi di Nazareth. Il contrasto tra il Cristo della fede e Gesú della storia è il risultato di una “fuga dalla storia”, prima ancora che di una “fuga dalla fede”, dovute, l’una e l’altra, al fatto di aver proiettato su Gesú interessi e ideali del momento.

La difficoltà di risalire dai vangeli sinottici al Gesú reale è nata in buona parte dal fatto che non si è tenuto conto delle leggi che regolano la trasmissione delle tradizioni fondatrici di una comunità, presso gruppi umani dalla cultura non scritta, come erano quelli tra cui si formarono e circolarono i racconti su Gesù. Lo studio di tali leggi (tuttora verificabili presso gruppi umani di cultura preletteraria) mostra che un fatto o un discorso ritenuto importante per la storia e la vita della comunità può trasmettersi con singolare accuratezza nei suoi elementi centrali, pur variando a ogni ri-narrazione nei particolari per rispondere alle esigenze del momento.

“La storia delle forme” (la “Formgeschichte”) supponeva anch’essa l’esistenza di una fase orale della tradizione, ma non ne traeva le dovute conseguenze e soprattutto la faceva iniziare in seno alla comunità successiva alla Pasqua. La critica storica ha tacitamente proiettato all’epoca del Nuovo Testamento le leggi che portano oggi all’edizione definitiva di un libro: riedizioni successive, ognuna basata sulla precedente, che modifica, aggiungendo o togliendo qualcosa. Questo ha creato l’illusione di poter risalire da uno strato al precedente, fino a isolare un ipotetico nucleo originario, che finisce quasi sempre per riflettere da vicino l’opzione di partenza dello studioso di turno.

Dunn invita semplicemente il lettore moderno dei vangeli a cambiare l’impostazione di default del suo computer di bordo da “letteraria” a “orale”. Cosa giungiamo a conoscere per questa via? Non – almeno direttamente – l’”interiorità segreta” di Cristo, cosa egli pensava di se stesso, ma il “Gesú come era ricordato”; “ricordato” però – e qui sta la differenza – non a distanza di tempo, dopo la Pasqua, da discepoli e comunità che reinterpretavano i fatti e gli insegnamenti mossi da interessi estranei, ma da coloro che per primi avevano visto e udito e avevano cominciato da subito a dare forma ai racconti.
Letti in questo modo, “i vangeli sinottici attestano un modello e una tecnica di trasmissione orale che hanno garantito una stabilità e una continuità nella tradizione di Gesú maggiori di quelle che si sono sin qui generalmente immaginate”. È ciò che l’autore dimostra nelle restanti 700 pagine del primo volume, analizzando i singoli detti e fatti di Gesù.

All’analisi di Dunn, anche l’immagine di un Gesú che sovverte i legami familiari e conduce con i suoi discepoli una vita da “carismatico itinerante” o di “vagabondo cinico” appare il frutto di una lettura parziale e forzata dei testi; non tiene conto della differenza tra ciò che Gesú chiedeva a tutti e ciò che chiedeva a quelli che chiamava a condividere la sua vita interamente dedicata al regno, come avviene anche oggi nella Chiesa. Gesú è più rigoroso di tutti circa l’indissolubilità del vincolo matrimoniale e ribadisce con forza il comandamento di onorare il padre e la madre, condannando la pratica di sottrarsi, con pretesti religiosi, al dovere di assisterli.

Dunn non ha certamente posto la parola “fine” alla ricerca storica su Gesú, ma con i risultati del suo studio, unitamente a quelli, spesso convergenti, del cattolico John P. Meier “Un ebreo marginale” (3 volumi, Queriniana, Brescia 2001-2003), dovranno presumibilmente misurarsi per decenni tutti gli studiosi delle origini del cristianesimo.

2. Nuovi documenti

Io vorrei prendere lo spunto dal lavoro di Dunn per una valutazione della cosiddetta “nuova ricerca storica” su Gesú, prescindendo dai casi particolari di cui si è discusso di recente in Italia, allargando invece lo sguardo al panorama mondiale sul problema.

La nuova ricerca storica su Gesú fonda la sua “novità” sul ritrovamento di nuovi testi e sui risultati di recenti scoperte archeologiche. È giusto che il lettore non addetto ai lavori sia informato in che consistono queste scoperte.

Di veramente nuovo c’è stata, nell’ultimo mezzo secolo, la scoperta e la successiva laboriosa decifrazione dei manoscritti di Qumran, risalenti all’epoca del Nuovo Testamento e appartenuti (ormai si è d’accordo su ciò) alla setta giudaica degli Esseni. Altra scoperta clamorosa è stata quella della biblioteca gnostica di Nag Hammadi in Egitto verso la metà del secolo scorso (precisamente nel dicembre del 1945). A questi documenti scritti vanno aggiunti, dicevo, i risultati di scavi archeologici che hanno stimolato l’indagine sociologica sulle condizioni di vita in Galilea al tempo di Gesú.

Ora un giudizio sull’importanza di queste scoperte per la conoscenza del Gesú storico. Una grandissima importanza hanno i manoscritti di Qumran. Essi però, lungi dall’indebolire la testimonianza dei vangeli, su innumerevoli punti ne hanno costituito una sorprendente conferma, mostrando la corrispondenza di linguaggio e di idee con le correnti del giudaismo del tempo.

Il ritrovamento dei testi di Nag Hammadi ha avuto anch’esso un’importanza enorme per la conoscenza dello gnosticismo cristiano e delle sue varie correnti. Assai minore è invece il loro apporto alla conoscenza del Nuovo Testamento, se si eccettua il Vangelo di Tommaso per le parti che si prestano a un confronto con i Sinottici e contribuiscono alla ricostruzione della fonte Q (la raccolta di detti di Gesú che conosciamo dall’utilizzo che ne hanno fatto Matteo e Luca). Va notato che questi vangeli apocrifi, compresi quelli di Tommaso e di Giuda, erano noti, nei loro passaggi e idee centrali, fin dai Padri della Chiesa che ne citano larghi brani, rivelando anche lo sfondo ideologico da cui provengono. Nuova, quindi, è l’attenzione che essi hanno richiamato e l’utilizzo che se ne è fatto, più che le idee in essi contenute.

Quanto alle scoperte archeologiche, la convinzione di poter basare su di esse l’idea di un Gesú fortemente influenzato dalla cultura greca si è rivelata infondata o esagerata, in seguito a una valutazione più attenta del ruolo svolto dalle città di Sepphoris e Tiberiade (distanti pochi chilometri da Nazareth) come centri di cultura ellenistica. Nessuna tipica istituzione ellenistica (biblioteca, ginnasio) o consistente insediamento pagano sono stati ritrovati in queste città. La “Galilea delle genti” del tempo dell’esilio era stata ampiamente ri-giudaizzata nei secoli anteriori alla comparsa di Cristo.

3. Giudeo o greco?

Quanto aperte siano le conseguenze da tirare da queste nuove fonti storiche, appare dal fatto che esse hanno dato luogo a due immagini di Cristo opposte e inconciliabili tra loro, tuttora presenti sul campo. Da una parte (con ben maggiore plausibilità) un Gesú “in tutto e per tutto ebreo”; dall’altra un Gesú figlio della Galilea ellenizzata del suo tempo, imbevuto di filosofia cinica che si è limitato a pronunciare massime di saggezza, “nello stile di un maestro Zen”.

Entrambe queste due tendenze sono nate con il proposito di riportare alla luce il Gesú in carne ed ossa, quello che era stato “veramente”, che aveva detto “veramente”. Così si esprimeva, tra gli altri, il manifesto con cui Robert Funk nel 1985 lanciò a Berkeley il “Jesus Seminar”, il centro più attivo di promozione della “nuova ricerca“ su Gesú, da cui è partita anche l’ipotesi del “Gesù cinico”.

Quale immagine di Gesú è risultata da ciò? Cito alcune delle definizioni messe in circolazione: “un eccentrico Galileo”, “il proverbiale festaiolo”, un “saggio vagabondo o sovversivo”, il “maestro di una sapienza aforistica”, “un contadino giudeo imbevuto di filosofia cinica”. Significativa la definizione data del Gesú del Vangelo di Tommaso: “Un saggio autore di aforismi che ci risparmia la crocifissione, rende inutile la risurrezione e non ci obbliga a credere in nessun Dio chiamato Gesú” (Harold Bloom).

Dunn ha coniato per questo movimento il termine di “neoliberalismo”, a causa del suo ritorno al Gesú della teologia liberale ottocentesca: un Gesú propagatore di idee morali, non più però di grande respiro, come nel liberalismo classico (paternità di Dio, valore infinito dell’anima umana), ma di una sapienza contadina, di portata sociologica, più che teologica.

5. Un bilancio

Albert Schweitzer, all’inizio del ‘900, aveva concluso la rassegna delle ricerche sulla vita di Gesú dei due secoli precedenti, dicendo che esse erano inficiate dal tentativo di modernizzare Gesú, attribuendogli gli ideali in auge nella società. Si era avuto così, di volta in volta, un Cristo idealista, romantico, liberale, socialista…Alla stessa conclusione arrivano Dunn e Meier nella loro rassegna degli studi apparsi dopo Schweitzer. Abbiamo avuto via via il Gesú dell’esistenzialismo heideggeriano di Bultmann, il Gesú rivoluzionario degli anni di Che Guevara e ai nostri giorni il Gesú post-moderno, dal pensiero debole.

Nelle pagine rese note del suo prossimo libro su Gesú, Benedetto XVI definisce questi studi “fotografie degli autori e dei loro ideali”. Alla nascita di Gesú, il vecchio Simeone disse che egli sarebbe stato “segno di contraddizione perché fossero svelati i segreti di molti cuori”, e così è stato. Scrivendo di lui, ognuno, senza volerlo, manifesta quello che c’è nel proprio cuore.
E tuttavia –Dunn è il primo ad ammetterlo – nessuno di questi tentativi è stato inutile ed è da scartare. A parte l’immenso guadagno critico realizzato in molti di questi studi, a partire dalla Vita di Gesú dello Strauss, è comunque grazie ad essi che si può giungere, anche per esclusione, a un’immagine del Gesú della storia sempre meno lontana dal vero. Essi contribuiscono anche a liberare la persona di Gesú e la fede cristiana da tante ingenue rappresentazioni oleografiche, a tutto vantaggio della fede stessa.

Gesú è “patrimonio dell’umanità”; nessuno, neppure la Chiesa naturalmente, ha il monopolio su di lui. È nell’interesse della verità storica che una certa indagine innovativa rimetta in discussione i risultati del passato e sperimenti nuove vie, purché anch’essa accetti di essere messa in discussione nei suoi risultati, quando essi si rivelano inconsistenti a un esame più approfondito e meno selettivo delle fonti.

Raniero Cantalamessa