Slide 15 Slide 2 Foto di Filippo Maria Gianfelice

Tuo padre ed io - Domenica dopo Natale: Festa della Sacra Famiglia

1 Samuele 1, 20-22.24-28; 1 Giovanni 3, 1-2.21-24; Luca 2, 41-52

Nella Domenica dopo Natale, la liturgia celebra la festa della Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Il Vangelo racconta l’episodio dello smarrimento e del ritrovamento di Gesù tra i dottori nel tempio che si conclude con questo quadro di vita famigliare:

“Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.

L’intento della Chiesa nell’istituire questa festa è quello di additare nella Sacra Famiglia un modello e una fonte di ispirazione per tutte le famiglie umane. Viene però da chiedersi: cosa ci può essere di comune tra questa famiglia e una normale famiglia umana? Non è esagerato chiedere a due povere creature di rifarsi a un modello così al di fuori della norma? Tanto per cominciare, manca nel matrimonio tra Maria e Giuseppe quello che per ogni coppia umana è un elemento costitutivo e cioè la integrazione a livello anche sessuale.
Questo è vero, ma proprio qui si inserisce l’apporto che l’esempio della Sacra Famiglia può dare oggi al superamento della crisi del matrimonio. Suscitano scalpore le periodiche statistiche sullo stato della famiglia, anche se non fanno che confermare quello che è sotto gli occhi di tutti. Aumentano le separazioni legali e i divorzi, e il fatto più inquietante è che spesso si tratta di unioni appena iniziate. Matrimoni che vanno in crisi dopo meno di un anno dalle nozze! Come mai?
Commentando questi dati una sociologa ha parlato di un “analfabetismo in amore”. Si crede che per fare un matrimonio riuscito basti l’attrazione fisica e una intesa sessuale ben collaudata. Tutto il resto è lasciato nel vago, o si pensa che verrà da sé. Spesso “l’attrazione si coniuga con la superficialità, la dimenticanza, il tradimento, l’abitudine alla banalizzazione del sesso che troppo in fretta salta gli stadi della tenerezza, dell’incontro approfondito tra due persone, rubando il tempo alla conoscenza reciproca, ai silenzi, agli sguardi, ai progetti”.
Non c’è da stupirsi se, alla prova dei fatti, questo tipo di matrimonio va subito in frantumi. Per dire che due oggetti sono incollati tra loro in maniera approssimativa, senza nessuna consistenza, nel linguaggio popolare si usa l’espressione “attaccati con lo sputo”. Questi sono matrimoni attaccati con lo sputo!
La famiglia di Nazareth può essere un richiamo forte proprio a quei valori spirituali che così spesso mancano oggi tra le giovani coppie e che sono indispensabili per formare un matrimonio che resista nel tempo: conoscenza e stima reciproca, capacità di uscire da se stessi, di coltivare progetti ed ideali comuni, silenzi, preghiera!
Prendiamo le parole che Maria pronuncia non appena ritrova il figlio nel tempio:

“Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo”.

“Tuo padre ed io”: può sembrare un dettaglio trascurabile e invece contiene un insegnamento importantissimo. Maria e Giuseppe formano un unico soggetto. Maria non pensa solo alla sua angoscia, ma anche a quella del marito; anzi mette quella del marito prima della sua: “Tuo padre ed io”, non “io e tuo padre”.
Sposarsi significa passare dalla prima persona singolare, “io”, alla prima persona plurale “noi”. Se non avviene questo cambiamento che conferisce una specie di nuova identità, l’unione sarà solo superficiale e traballante. Il matrimonio è più che un patto, una coabitazione, una unione dei sessi. È un “io” e un “tu” che diventano un “noi”. Questo significano le parole della Bibbia: “…e i due saranno una carne sola”. “Una sola carne” non vuol dire, nella Bibbia, unicamente “un solo corpo”, ma anche “una sola persona”.
A volte incontro uomini o donne di cui ignoro se sono sposati o no. Allora, prima di lanciarmi nel dare consigli o giudizi, cerco di fare attenzione a come parlano, sicuro che non tarderanno a tradire il loro stato. Ma spesso resto deluso. Ci sono donne e uomini che possono parlare della loro vita anche personale per oltre mezz’ora, senza che si capisca se sono sposati o no. Sempre “io, io, io”; mai “mio marito ed io, mia moglie ed io”. Sono ancora “individui”, non sono mai diventati veramente “coniugi”. Coniugi, coniugio, coniugati: sono parole desuete, non piacciono più. Evocano l’immagine del “giogo” (significano alla lettera “posti sotto lo stesso giogo”) e con esso quella di un peso, di una schiavitù. Bisogna scoprire la bellezza di questa immagine quando non è applicata a dei buoi, ma a delle persone umane che liberamente si sono messe sotto lo stesso giogo.
Esiste una immagine di Gesù e di Maria che a me piace molto. Una volta la feci vedere da una coppia di fidanzati che subito la scelsero come immagine per il loro invito di nozze. È un affresco antichissimo che si trova nel monastero di Subiaco. Rappresenta Cristo e la Chiesa (qui impersonata da Maria) che sono il modello ultimo, dice Paolo, di ogni unione nuziale (cfr. Efesini, 5, 32). Lo sposo, Gesù, ha il suo braccio sul collo della sposa, e la sposa ha il capo appoggiato sulla spalla dello sposo, mentre la mano di lui sostiene delicatamente quella di lei. Qui si vede come dovrebbe essere il giogo che unisce l’uomo e la donna nel matrimonio. Non un giogo imposto su di loro dall’esterno (dalla società, dalla Chiesa, o non si sa da chi), ma un giogo formato idealmente da loro stessi, dall’unione delle loro volontà, e perciò “un giogo soave e un peso leggero”(Matteo 11, 29). In uno scritto poetico del II secolo, Gesù risorto dice:

“Come il braccio dello sposo sulla sposa,
così è il mio giogo su coloro che mi conoscono” (Odi di Salomone, 42,8).

Guardando l’immagine che ho descritto, uno potrebbe essere tentato di dire: Sì, però anche qui è sempre l’uomo che sta dritto, è lui il forte; la donna non fa che appoggiarsi su di lui. È vero: l’uomo, Cristo, esprime, qui la forza e la donna, Maria, la fiducia, l’abbandono. Ma ignoriamo una cosa: che l’uomo ha altrettanto bisogno, per essere forte, della fiducia della donna, quanto la donna ha bisogno della forza dell’uomo per essere fiduciosa. È a causa dei nostri criteri distorti dal peccato che noi privilegiamo la forza rispetto alla tenerezza. Dio è somma potenza e somma tenerezza insieme, senza che si possa dire quale delle due qualità sia la più importante. In realtà non c’è minore “forza” nell’abbandono e nella fiducia che nella forza-forza; solo che è di qualità diversa. Forse superiore. Il giorno che lo scopriremo, avremo fatto un grande progresso in fatto di umanità.
Quello che stiamo presentando non è un progetto fuori della realtà, un’immaginazione di preti e frati che non sanno cos’è la vita reale degli sposati. Spesso, ascoltando testimonianze di sposi cristiani, mi è tornato in mente l’elogio che faceva del matrimonio Tertulliano, all’inizio del terzo secolo, in un libro dedicato a sua moglie: “Chi mai sarà all’altezza di descrivere la felicità di un matrimonio che la Chiesa consacra, l’Eucaristia conferma, la benedizione sigilla, gli angeli acclamano e che il Padre celeste approva? Come è bello il giogo che unisce due credenti che hanno un’unica speranza, uno stesso desiderio, una medesima regola di vita, una stessa volontà di servizio. Nessuna separazione tra di loro, né di carne né di spirito. Sono veramente due in una carne sola. Ma dove c’è una sola carne, c’è anche un solo spirito: insieme infatti pregano, si istruiscono a vicenda, a vicenda si esortano e si sostengono. Insieme nella chiesa di Dio, insieme alla mensa del Signore, insieme nelle difficoltà e nelle persecuzioni e insieme anche nella gioia. Nessuno dei due si nasconde all’altro, nessuno dei due evita l’altro, nessuno dei due è gravoso all’altro…Non c’è bisogno di farsi furtivamente il segno della croce. A vedere e sentire queste cose, Cristo ne gode e manda ad essi la sua pace. Dove sono i due, lì c’è anche lui e dove c’è lui non entra il maligno” (Ad uxorem II, 6-9).
Ecco cosa si intende quando si parla della famiglia come di una “chiesa domestica”, o di una “piccola chiesa”!
Le stesse indagini sociologiche ricordate all’inizio indicano anche un dato positivo. Nonostante la crisi della famiglia, un matrimonio riuscito, “con la persona giusta”, continua ad essere, agli occhi della maggioranza degli adolescenti e dei giovani, il sogno della vita. È proprio per incoraggiare questi giovani a non vergognarsi di questo loro sogno che ho fatto queste riflessioni.