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Se qualcuno vuole essere il primo... - XXV Domenica del Tempo Ordinario

Sapienza 2, 12. 17-20; Giacomo 3, 16 – 4, 3;
Marco 9, 30-37

Un giorno, mentre erano in viaggio, Gesù notò che i suoi discepoli, a una certa distanza, stavano discutendo animatamente. Entrati in casa, domandò loro di che cosa avessero discusso per via, ma quelli tacevano imbarazzati. Per via avevano discusso, tutto il tempo, chi di loro fosse il più grande! Sentiamo direttamente dal Vangelo il seguito della storia:
“Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”.
“Se uno vuol essere il primo”: e chi non vorrebbe essere il primo? La tendenza a primeggiare, a eccellere fa parte della natura umana. Conosciamo il principio di Archimede su cui si basa ogni tipo di navigazione marina: un corpo immerso in un liquido riceve una spinta verso l’alto, tanto più forte quanto più esso è voluminoso e maggiore perciò è la quantità di acqua che sposta. Dentro di noi c’è nascosta una forza analoga che ci spinge irresistibilmente in su, a emergere, a galleggiare al di sopra degli altri. Lo dicevo in un’altra circostanza: se potessimo rappresentarci visivamente l’intera umanità, così come essa deve apparire agli occhi di Dio, vedremmo lo spettacolo di una folla immensa di gente che si leva in punta di piedi, che cerca di innalzarsi uno al di sopra dell’altro, schiacciando magari chi gli è accanto, e tutti che gridano: “Ci sono anch’io, ci sono anch’io nel mondo!”. Abbiamo paura di passare inosservati.
Oggi questa tendenza a “emergere” si è accentuata e diventa frenesia, facendo fare le cose più strane e assurde per farsi notare, fosse pure nel male e nel delitto. Anche quando non si arriva a queste forme estreme, c’è però l’arrivismo e la competitività esasperata, che caratterizza tutta la nostra società. Quante cose si fanno per non essere da meno del vicino, del collega, dell’amica.
Cosa pensare di questa tendenza, alla luce di quello che Gesù dice nel Vangelo di oggi: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo”? Forse che Gesù condanna il desiderio di eccellere, di fare grandi cose nella vita, di dare il meglio di sé, e privilegia invece l’ignavia, lo spirito rinunciatario, i neghittosi? Così pensava il filosofo Federico Nietzsche. Egli si sentì in dovere di combattere ferocemente il cristianesimo, reo, secondo lui, di avere introdotto nel mondo il “cancro” dell’umiltà e della rinuncia. Nella sua opera Così parlò Zaratustra, egli oppone a questo valore evangelico quello della “volontà di potenza”, incarnato dal superuomo, l’uomo dalla “grande salute”, che vuole innalzarsi, non abbassarsi.
Può essere che i cristiani abbiano talvolta interpretato male il pensiero di Gesù e dato occasione a questo fraintendimento. Ma non è certo questo che vuol dirci il Vangelo. “Se uno vuol essere il primo…”: dunque è possibile voler essere il primo, non è proibito, non è peccato. Non solo Gesù non proibisce, con queste parole, il desiderio di voler essere il primo, ma lo incoraggia. Solo rivela una via nuova e diversa per realizzarlo: non a spese degli altri, ma a favore degli altri. Aggiunge infatti: “…si faccia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. La via in su è diventata la via in giù. L’ultimo della serie può essere benissimo il primo: dipende da dove si parte.
Ma diamo velocemente uno sguardo a quali sono i frutti dell’uno e dell’altro modo di primeggiare. La volontà di potenza, anche quando non viene interpretata alla maniera di Hitler, a che cosa porta? Porta a una situazione in cui uno domina e gli altri servono; uno è reso “felice” (se ci può essere felicità in ciò), gli altri, la maggioranza, infelici; uno solo esce vincitore, tutti gli altri sconfitti; uno domina, gli altri sono dominati.
Nel servizio invece tutti beneficiano della grandezza di uno. Chi è grande nel servizio, è grande lui e fa grandi gli altri; anziché innalzarsi sugli altri, innalza gli altri con sé. Un esempio è stata proprio Madre Teresa di Calcutta. Lei è stata certamente “una prima donna”. Al suo funerale erano presenti capi di stato e grandi della terra. Ma la sua grandezza è stata benefica per tante migliaia di persone. È autentica grandezza. Primeggiare, eccellere in questo modo: che benedizione per tutto il mondo!
In questo modo condanniamo forse ogni agonismo nello sport, ogni competizione e concorrenza nel commercio? No, non si condanna niente, perché indirettamente queste cose, quando sono contenute dentro giusti limiti e avvengono nella correttezza, servono al bene comune, aumentano il livello delle prestazioni, o la qualità dei prodotti, sviluppano le capacità fisiche, inventive e tecniche, e quindi ridondano a vantaggio di tutti. Sono, nel loro ambito, un valore bello e positivo. San Paolo fa della competizione atletica addirittura un esempio di ciò che i credenti dovrebbero fare in quest’altra gara proposta dal vangelo:
“Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece incorruttibile” (1 Corinzi 9, 24-25).
Vediamo spesso, sui nostri teleschermi, corse nello stadio. Richiamiamole alla mente, perché esse sono la migliore illustrazione di quanto dicevamo. Al termine della gara dei cento metri, le telecamere corrono a inquadrare il vincitore, giustamente felice del suo trionfo. Ma per uno che ha vinto, ci sono altri sei o sette sconfitti, delusi, umiliati, a cui nessuno bada più. È normale, è la legge dello sport, ma essa mette in luce il limite intrinseco di questo modo di essere “primi”. “Tutti corrono, ma uno solo conquista il premio”. Sono gare sempre “eliminatorie”.
L’apostolo sa trarre, però anche un esempio in positivo da ciò che avviene nell’atletica. Guardate, dice, di quanti sacrifici, rinunce, sforzi e allenamenti sono capaci quelli che partecipano alle corse nello stadio. Non dovremmo fare qualcosa in questo campo anche noi che aspiriamo a vincere un premio incorruttibile?
Bene, se il Vangelo ci chiama a questa gara speciale in cui vince chi si fa “ultimo e servo di tutti”, cerchiamo di capire in che consiste il servizio, per poterci almeno incamminare su questa strada, o almeno riconoscere chi lo pratica. Le parole servo e servizio (come povertà, solitudine) possono avere due sensi: uno negativo e uno positivo. Preso in senso passivo, “servo” indica uno che non è libero, che è sottomesso ad altri, dipendente: tutti significativi negativi. Preso invece in senso attivo, “servo” indica uno che è servizievole, che si mette a disposizione, si spende e si sacrifica volentieri per gli altri; denota quindi amore fattivo, disponibilità, altruismo e generosità. Questo è esattamente quello che il Vangelo intende per servizio. Niente a che vedere con quella brutta cosa che chiamiamo servilismo.
Il servizio del cristiano deve essere modellato su quello di Cristo. A pensarci bene, la gara prospettata nel Vangelo di oggi, in cui è primo chi si fa ultimo, è stata già corsa e vinta. L’ha vinta lui stesso. Egli si è fatto davvero l’ultimo e il servo di tutti, ha dato la vita in riscatto per molti. Nell’ultima cena, ha voluto lavare i piedi agli apostoli, proprio per imprimere loro bene in mente questo ideale. Ha esclamato: “Ecco, io sono tra voi come colui che serve”. A noi non resta che “seguirlo”, andargli dietro, imitarlo, per condividere la sua vittoria.
Anche questa volta, non ci lasciamo senza indicare qualche ambito concreto in cui sforzarci di mettere in pratica l’insegnamento del Vangelo. Un difetto che si oppone direttamente allo spirito di servizio è la tendenza a imporre agli altri la propria volontà, l’autoritarismo. Spesso chi ha questa predisposizione (in una famiglia, in una comunità, in una azienda, in un ufficio) non si rende conto minimamente delle sofferenze che provoca intorno a sé e si stupisce anzi nel vedere che gli altri non mostrano di apprezzare tutto il suo zelo e i suoi sforzi, e accusa gli altri di ingratitudine.
Questo non è un servire, ma un dominare. In italiano, c’è una grande differenza tra i due verbi servire e asservire: uno significa essere servi, l’altro fare gli altri servi. Se ci viene un piccolo dubbio che anche noi potremmo essere nella categoria di coloro sono pronti a servire e farsi in quattro, purché, però, tutto si faccia sempre a modo loro, cerchiamo di cambiare atteggiamento e imitare Gesù che era un servo “mite ed umile di cuore”.