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Convertitevi e credete al vangelo! - III Domenica del Tempo Ordinario

Giona 3, 1-5. 10; 1 Corinzi 7, 29-31; Marco 1, 14-20

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò in Galilea predicando il Vangelo di Dio e diceva:
“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al vangelo”.
Il brano evangelico ci offre l’occasione di precisare cosa s’intende, nel cristianesimo, per conversione. Dobbiamo sfatare subito due pregiudizi. Primo, la conversione non riguarda solo i non credenti, o quelli che si dichiarano “laici”, ma ci riguarda tutti, tutti abbiamo bisogno di convertirci. Secondo, la conversione, intesa in senso genuinamente evangelico, non è sino¬nimo di rinuncia, sforzo e tristezza, ma di libertà e di gioia; non è uno stato regressivo, ma progressivo.
Prima di Gesù, convertirsi significava sempre un “tornare indietro” (il termine ebraico, shub, significa invertire rotta, tornare sui propri passi). Indicava l’atto di chi, a un certo punto della vita, si accorge di essere “fuori strada”; allora si ferma, ha un ripensamento; decide di cambiare atteggiamento e tornare all’osservanza della legge e di rientrare nell’alleanza con Dio. Fa una vera e propria inversione di marcia, una “conversione ad U”. La conversione, in questo caso, ha un significato morale; consiste nel cambiare i costumi, nel riformare la propria vita.
Sulle labbra di Gesù, questo significato cambia. Non perché egli si diverta a cambiare i nomi delle cose, ma perché, con la sua venuta, sono cambiate le cose. Convertirsi non significa più tornare indietro, all’antica alleanza e all’osservanza della legge, ma significa piuttosto fare un balzo in avanti ed entrare nel Regno, afferrare la salvezza che è venuta agli uomini gratuitamente, per libera e sovrana iniziativa di Dio.
Conversione e salvezza si sono scambiate di posto. Non è c’è più, per prima cosa, la conversione da parte dell’uomo e quindi la salvezza, come ricompensa da parte di Dio; ma c’è prima la salvezza, come offerta generosa e gratuita di Dio, e poi la conversione come risposta dell’uomo. L’idea soggiacente non è più: “convertitevi per essere salvi, convertitevi e la salvezza verrà a voi”, ma è: “convertitevi perché siete salvi, perché la salvezza è venuta a voi!”. In questo consiste il “lieto annuncio”, il carattere gioioso della conversione evangelica. Dio non aspetta che l’uomo faccia il primo passo, che cambi vita, che produca opere buone, quasi che la salvezza sia la ricompensa dovuta ai suoi sforzi. No, prima c’è la grazia, l’iniziativa di Dio. In questo, il cristianesimo si distingue da ogni altra religione: non comincia predicando il dovere, ma il dono; non comincia con la legge, ma con la grazia.
“Convertitevi e credete”: questa frase non significa dunque due cose diverse e successive, ma la stessa azione fondamentale: Convertitevi, cioè credete! Convertitevi credendo! La prima e fondamentale conversione è la fede. È essa la porta per cui si entra nel Regno e nella salvezza. Se ci fosse detto: la porta è l’innocenza, la porta è l’osservanza esatta di tutti i comandamenti, la porta è la pazienza, la purezza, uno potrebbe dire: non è per me; io non sono innocente, non ho tale o talaltra virtù. Ma ti viene detto: la porta è la fede.
A nessuno è impossibile credere perché Dio ci ha creati liberi e intelligenti, proprio per renderci possibile l’atto di fede in lui. È nell’atto di fede che la ragione umana realizza pienamente se stessa; anzi si eleva al di sopra di se stessa. La fede, si sente dire spesso, “rappresenta un limite per la razionalità”. In un certo senso è vero. C’è da chiedersi però se anche il rifiuto di credere non rappresenti, in modo diverso, un limite posto alla ragione. Pascal ha detto: “L’atto supremo che la ragione può compiere, è quello di riconoscere che c’è una infinità di cose che la sorpassano”. (Questo lo ammette oggi anche la scienza). Non pone allora un limite alla ragione e non la mortifica colui che non le riconosce questa capacità di trascendersi e proiettarsi al di sopra di se stessa?
Se la fede è la chiave di tutto, bisogna che cerchiamo di capire di che tipo di fede si tratta. La fede ha diverse facce: c’è la fede-assenso dell’intelletto, la fede-fiducia. Nel nostro caso, si tratta di una fede-appropriazione. Di un atto, cioè, per cui uno si appropria, quasi di prepotenza, di una cosa. San Bernardo usa addirittura il verbo usurpare: “Io, quello che mi manca lo usurpo dal costato di Cristo!”. Con essa ci si “impossessa” del regno di Dio, prima ancora di averlo meritato, con un atto di (libero) arbitrio!
Il poeta francese Charles Péguy descrive, in una sua opera, il più grande atto di fede della sua vita. Lo fa in terza persona, come se si trattasse di un altro, ma sappiamo con certezza che si tratta di lui stesso. “Un uomo, dice, aveva tre figli e un brutto giorno essi si ammalarono. Sua moglie era così impaurita che aveva lo sguardo fisso al di dentro e la fronte sbarrata e non diceva più una parola. Come una bestia ferita. Ma lui no; lui era un uomo; non aveva paura di parlare. Aveva capito che le cose non potevano andare avanti così. Allora aveva fatto un colpo di audacia. Al ripensarci, si ammirava anche un po’ e bisogna dire che era stato davvero un colpo ardito. Come si prendono tre bambini da terra e si mettono tutti e tre insieme, contemporaneamente, quasi per gioco, nelle braccia della loro madre, o della loro nutrice, che ride e fa finta di arrabbiarsi, dicendo che sono troppi e li farà cadere, così lui aveva preso i suoi tre bambini nella malattia e tranquillamente li aveva messi (s’intende, con la preghiera) nelle braccia di colei che è carica di tutti i dolori del mondo, la Santa Vergine. ‘Vedi, diceva, te li do e mi volto e scappo, perché tu non me li renda. Non li voglio più, lo vedi bene, ci devi pensare tu!’. Come si applaudiva di aver avuto il coraggio di fare quel colpo! Da quel giorno, tutto andava bene, naturalmente, poiché era la Santa Vergine a occuparsene. È perfino curioso che non tutti i cristiani facciano altrettanto. È così semplice, ma non si pensa mai a ciò che è semplice. Insomma, si è sciocchi, tanto vale dirlo subito”.
In che cosa era consistito, fuori metafora, il suo colpo di audacia? Aveva fatto un pellegrinaggio a piedi da Parigi a Chartres e aveva affidato alla Madonna i suoi tre bambini malati, che dal quel giorno cominciarono a stare meglio e presto guarirono. Uno dei figli, dopo la sua morte, ha rivelato questo retroscena famigliare. Nella cattedrale di Chartres esiste una lapide che commemora il fatto e, in ricordo di esso, ogni anno gli studenti organizzano un pellegrinaggio a piedi da Parigi a Chartres.
Non sempre questo si avvera sul piano fisico; non sempre, cioè, basta affidare alla Vergine i propri bambini malati ed essi guariscono. Ma non è per questo che ci interessa la storia. Ci interessa per quella possibilità che fa intravedere di fare nella vita un “colpo di audacia”, un colpo risolutivo. “Convertirsi e credere” significa, infatti, fare propriamente questo: realizzare una sorta di colpo di mano. La fede ci permette di fare un colpo di mano a spese di Dio. Con essa, prima ancora di aver faticato e acquistato meriti, noi conseguiamo la salvezza, ci impossessiamo addirittura di un “regno”. Ma è Dio stesso che ci invita a farlo; lui ama subire questi colpi di mano, ed è il primo a stupirsi che “così pochi lo facciano”. “Il regno di Dio soffre (volentieri) violenza e i risoluti se ne impadroniscono”: così pare che si debba intendere un celebre detto di Cristo (cfr. Matteo 11, 12).
Quell’uomo aveva dei bambini malati. Ma, a pensarci bene, ognuno di noi ha dei “figli” malati in casa: situazioni pesanti che vorremmo cambiare e non ci riusciamo, errori commessi nel passato, peccati. Noi possiamo andare davanti a un crocifisso, gettare, con un atto di fede, tutte queste cose tra le sue braccia e dire: “Tu hai preso su di te i peccati del mondo: prendi anche i miei e distruggili! Lo vedi bene che non li voglio più indietro. Mi volto e scappo; ci devi pensare tu!”. E andarcene via allegri, sicuri di poter ricominciare da capo nella vita.
“Convertitevi!”, non è una minaccia, una cosa che rende tristi e costringe ad andare a testa china e perciò da ritardare il più possibile. Al contrario, è un’offerta incredibile, un invito alla libertà e alla gioia. È la “buona notizia” di Gesù agli uomini di tutti i tempi.