Slide 15 Slide 2 Foto di Filippo Maria Gianfelice

Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso - XXII Domenica del tempo ordinario

Geremia 20, 7-9;Romani 12, 1-2; Matteo 16, 21-27

Nel Vangelo di questa Domenica ascoltiamo Gesù che dice:

“Se qualcuno vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà;
ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”.

Adesso vi devo fare una confessione. Ogni volta che, aprendo il messale, trovo nel Vangelo che devo commentare parole come queste, la prima tentazione è quella della fuga, come Giona quando gli fu ordinato di andare a predicare la conversione ai Niniviti. “Rinnegare se stessi, prendere la croce”: come si fa a fare accettare parole come queste da gente che da mattina a sera non fa che sentire inneggiare al successo, alla riuscita, all’affermazione di sé?
Credo che lo stesso sentimento l’abbia provato anche l’apostolo san Paolo, perché una volta, quasi per reagire a una tentazione del genere, esclama con forza: “Io non mi vergogno del vangelo: esso è potenza di Dio per chiunque crede” (Romani 1,16). Sul suo esempio affronto fiducioso, anche questa volta, con l’aiuto di Dio, la pagina di Vangelo propostaci dalla liturgia.
La via cristiana alla salvezza consiste nell’andare “dietro a Gesù” e l’andare dietro a Gesù consiste nel “rinnegare se stesso e prendere la propria croce”. Abbiamo avuto occasione di riflettere sul portare la croce qualche Domenica fa. Concentriamoci perciò, questa volta, sulla prima espressione: “rinnegare se stessi”.
Che significa “rinnegare se stessi”? Anzi, è possibile ed è lecito rinnegare se stessi? A pensarci bene, portato alle estreme conseguenze, “rinnegare se stessi” equivale a togliersi la vita, commettere suicidio, che non è certo cosa da raccomandare alla gente.
Dobbiamo fare subito una distinzione. Gesù non chiede di rinnegare “ciò che siamo”, ma ciò che “siamo diventati”. Noi siamo immagine di Dio, siamo perciò qualcosa di “molto buono”, come ebbe a dire Dio stesso, subito dopo aver creato l’uomo e la donna. Quello che dobbiamo rinnegare non è quello che ha fatto Dio, ma quello che abbiamo fatto noi, usando male della nostra libertà. In altre parole, le tendenze cattive, il peccato, tutte cose che sono come incrostazioni posteriori sovrapposte all’originale. “Rinnegare” significa dunque, in realtà, come spiega Gesù stesso, “ritrovare”: “Chi perderà la propria vita, la troverà”. Rinnegarsi è il vero modo di realizzarsi!
Alcuni esempi tratti dall’arte ci aiuteranno a capire, meglio di qualsiasi ragionamento. Esistono meravigliose chiese romaniche che, in epoca barocca, furono ricoperte di stucchi, decorazioni, colonne. Un vero deturpamento, dovuto al cattivo gusto del tempo. Come fare per riportare questi monumenti, a volte antichissimi, alla semplicità e alla bellezza primitiva? È necessario abbattere senza pietà tutte queste sovrastrutture e rifacimenti posteriori, per riportare alla luce la struttura originaria. Ed è infatti quello che si è fatto in molti casi e che consente oggi di ammirare di nuovo questi monumenti nel loro primitivo splendore.
Dal campo dell’architettura passiamo a quello della pittura. Vi sono quadri che con il passare del tempo si sono tutti ossidati e anneriti, tanto che a stento si distinguono più le figure. Per riportarli alla forma originaria, è necessario ripulirli, restaurarli, togliere la patina che vi si è depositata sopra. Che differenza negli affreschi di Michelangelo tra prima e dopo il restauro della Cappella Sistina! I turisti fanno code interminabili per andarli ad ammirare ora che sono stati restaurati.
Lo stesso per la scultura. Anni fa vennero scoperti nel fondo del mare, al largo delle coste ioniche, due masse informi che avevano una vaga somiglianza con corpi umani, ricoperte, come erano, di incrostazioni marine. Furono riportate a galla e pazientemente ripulite e liberate. Oggi sono i famosi “Bronzi di Riace”, nel museo di Reggio Calabria, tra le sculture più ammirate dell’antichità.
Sono esempi che ci aiutano a capire l’aspetto positivo che c’è nella proposta evangelica. Noi somigliamo, nello spirito, a quelle statue prima del restauro. La bella immagine di Dio che dovremmo essere, è stata ricoperta da sette strati che sono i sette vizi capitali. Forse non è male richiamarceli alla memoria se li avessimo dimenticati. Sono: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia e accidia. san Paolo chiama questa immagine deturpata “l’immagine terrestre”, in opposizione alla “immagine celeste” che è la somiglianza con Cristo.
“Rinnegare se stessi” non è dunque un’operazione per la morte, ma per la vita, per la bellezza e per la gioia. Se volete, è sì un uccidere se stessi, a patto però che per “noi stessi” intendiamo questo nostro “io” posticcio e sopraggiunto, che è la parte peggiore di noi che tanto spesso siamo i primi a detestare.
Aggiungiamo un esempio tratto dall’agricoltura. In questo periodo dell’anno, ad estate avanzata, i nostri vigneti sono carichi di grappoli che cominciano a maturare al sole e annunciano prossima la vendemmia. Ma come è giunta la vite a portare questi meravigliosi grappoli? Lasciandosi potare, perdendo inesorabilmente tralci superflui. La vite, si dice, “piange” quando è potata, perché di fatto dai rami recisi escono gocce d’acqua simili a lacrime, ma in seguito, se potesse parlare, benedirebbe la mano che l’ha potata.
Tutto questo ci ricorda le parole di Gesù:

“Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo.
Ogni tralcio che porta frutto,
lo pota perché porti più frutto” (Giovanni 15, 1)

Forse però è bene rendere un po’ più concreto questo discorso del rinnegare se stessi che altrimenti rischia di rimanere troppo teorico. “Rinnegare” significa “dire di no”. Allora si tratta molto semplicemente di imparare a dire dei no. C’è uno spettacolo violento o chiaramente licenzioso alla televisione; la tua curiosità ti dice: ma sì, guardalo, in fondo sei un uomo, non un bambino: che male ti può fare? Tu dici: no, perché dovrei sporcarmi il cuore e gli occhi? Hai rinnegato te stesso.
Un compagno ti offre uno spinello, si chiama così?; insomma, della roba che puzza di droga. Anche qui una voce forte ti spinge ad accettare, solo per una volta, solo per sapere di che si tratta…Tu rispondi: no. Hai rinnegato te stesso, e in questo caso hai forse letteralmente “salvato la tua vita”. Sei a tavola e la gola ti spingerebbe a ingurgitare tutto quello che c’è. Tu ti moderi e dici basta. Hai vinto (e forse, in più, hai anche evitato di danneggiare la tua salute).
Gli esempi, come si vede, si possono moltiplicare. Senti ribollire in te l’ira per qualche cosa che ti sembra storta in casa con i figli o sul lavoro. Ti domini, dici no, aspetti di essere calmo per parlare. Hai riportato vittoria. Una grande vittoria, perché è più facile lottare contro un esercito che contro se stessi. Non si vive in pace in famiglia e nella società, senza la capacità di sapere dire qualche no a se stessi. Ogni no detto a se stesso è un sì detto all’altro, all’onestà, alla concordia.
È un imparare il linguaggio del vero amore. Immagina, diceva un grande filosofo del secolo scorso, Kierkegaard, una situazione puramente umana. Due giovani si amano. Però appartengono a due popoli diversi e parlano due lingue completamente diverse. Se il loro amore vuole sopravvivere e crescere, è necessario che uno dei due impari la lingua dell’altro. Altrimenti non potranno comunicare e il loro amore non durerà.
Così, commentava, avviene tra noi e Dio. Noi parliamo il linguaggio della carne, lui quello dello spirito; noi quello dell’egoismo, lui quello dell’amore. Rinnegarsi è imparare la lingua di Dio per poter comunicare con lui. Ma è anche imparare la lingua -cioè la sensibilità, i gusti, le attese- dell’altro che ci vive accanto. E questo per poter vivere in pace e costruire insieme qualcosa di bello nella vita.
Tanti problemi e fallimenti nella coppia dipendono dal fatto che l’uomo non si è mai preoccupato veramente di imparare il modo di esprimere l’amore della donna, e la donna quello dell’uomo. Anche su questo punto, il Vangelo, come si vede, è assai meno remoto dalla vita di quanto si crede. Quante rinunzie, quanti rinnegamenti di sé si compiono ogni giorno senza pensarci: per far contenti quelli che si amano! E non lo si fa con tristezza, ma con gioia.