Slide 15 Slide 2 Foto di Filippo Maria Gianfelice

Una donna Cananea si mise a gridare - XX Domenica del tempo ordinario

Isaia 56, 1.6-7; Romani 11, 13-15.29-32; Matteo 15, 21-28

Potremmo intitolare la pagina di Vangelo che la liturgia ci fa ascoltare oggi in questo modo: “Come un giorno una donna espugnò Gesù con la sua fede”.
Seguiamo da vicino lo svolgimento della vicenda. Gesù, nel corso di quel medesimo viaggio durante il quale aveva moltiplicato il pane e camminato sulle acque, arriva verso le parti di Tiro e Sidone, cioè in territorio abitato da pagani, da non giudei. (Oggi Tiro e Saida del Libano). Gli viene incontro una donna Cananea, cioè una discendente del popolo che abitava la Palestina prima della conquista degli Ebrei. Una pagana dunque.
Si mette a gridare: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio”. Ed ecco la prima doccia fredda. Gesù, è scritto, “non le rivolse neppure la parola”. Intervengono gli apostoli a intercedere in suo favore, non tanto per amore della donna, quanto perché ella continua ad andare loro dietro. “Esaudiscila -gli dicono-: non vedi come ci grida dietro?”. Secondo netto rifiuto di Gesù:

“Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa d’Israele”.

La mia missione -voleva dire Gesù- è rivolta anzitutto al popolo d’Israele, e sarà esso che, una volta convertito ed accolto il regno, dovrà portare il Vangelo ai pagani.
Che avremmo fatto noi a questo punto? Probabilmente ce ne saremmo andati, offesi, scandalizzati e mormorando tra noi: “È questo il modo di trattare la gente, da parte di uno che si fa passare per amico dei poveri e degli afflitti?”. La Cananea, no. Ella è l’antitesi perfetta della persona permalosa, che si offende facilmente. Anzi, che fa? Gli si avvicina e gli si prostra dinanzi, dicendo: “Signore, ti prego, aiutami!”. Al rifiuto, risponde intensificando la preghiera e l’attesa. Terza parola dura:

“Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”

(Figli sono i discendenti di Abramo, cagnolini i pagani). Chiunque, a questo punto, sarebbe scappato esasperato. Non la Cananea. Ella ingigantisce a ogni nuova riga del Vangelo. È impegnata in una specie di gara di salto in alto. Avete mai osservato cosa succede nella specialità atletica del salto in alto? A ogni salto riuscito, l’asticella viene elevata di qualche centimetro, sempre più in alto, fintanto che c’è qualcuno che riesce a superarla. Nella fede avviene la stessa cosa. A ogni difficoltà che superiamo, Dio a volte alza l’asticella, cioè aumenta l’esigenza, ci chiede un atto di fede ancora più difficile. Così ha fatto Gesù con la donna. Ed ecco il salto finale della Cananea:

“È vero, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei padroni”.

Gesù, che si è contenuto a fatica fin qui, non resiste più e grida pieno di gioia, come farebbe un tifoso, dopo un salto da record mondiale dell’atleta del suo cuore:

“Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri!”

“E da quell’istante, nota il Vangelo, sua figlia fu guarita”. Ma cosa è avvenuto nel frattempo? Un altro miracolo, ben più grande della guarigione della figlia. Quella donna è diventata una “credente”, una delle prime credenti provenienti dal paganesimo. Una pioniera della fede cristiana. Una nostra antenata.
Se Gesù l’avesse ascoltata alla prima richiesta, tutto quello che avrebbe conseguito la donna sarebbe stata la liberazione della figlia. La vita sarebbe trascorsa con qualche fastidio in meno. Ma tutto sarebbe finito lì e alla fine madre e figlia sarebbero morte senza lasciare traccia di sé. Invece così la sua fede è cresciuta, si è purificata, fino a strappare a Gesù quel grido finale di entusiasmo.
Gesù, nel Vangelo, è un cercatore di fede, più appassionato di quanto sia mai stato ogni cercatore d’oro. Egli andava in giro, durante la vita, con una specie di termometro nascosto con cui misurava la fede di chi si accostava a lui. Due volte questo suo termometro ha rischiato di “saltare”. Una è questa che abbiamo ascoltato, l’altra quella del centurione romano, quando Gesù esclama: “Non ho trovato tanta fede, neppure in Israele!”.
Quante cose ci insegna questa semplice storia evangelica! Una delle cause più profonde di sofferenza per un credente sono le preghiere non ascoltate. Abbiamo pregato per una certa cosa, per settimane, mesi e forse anni. Ma niente. Dio sembrava sordo. La donna Cananea è lì, elevata per sempre al ruolo di istitutrice e maestra di perseveranza nella preghiera. Ella sembra aver preso alla lettera, senza conoscerla, la parola che si legge in Isaia:

“Voi che rammentate le promesse al Signore,
non prendetevi riposo e neppure a lui date riposo” (Isaia 62,6).

Ella non ha dato riposo a Gesù. Chi si fosse trovato a osservare il comportamento e le parole di Gesù verso quella povera donna desolata, non avrebbe potuto fare a meno di vedervi insensibilità e durezza di cuore. Come si fa a trattare così una madre afflitta? Ma ora sappiamo cosa c’era nel cuore di Gesù che lo faceva agire in quel modo. Egli soffriva nell’opporre i suoi rifiuti, trepidava davanti al rischio che ella si stancasse e desistesse. Sapeva che l’arco, troppo teso, avrebbe potuto spezzarsi. C’è infatti anche per Dio l’incognita della libertà umana che fa nascere in lui la speranza. Gesù ha sperato, per questo si mostra alla fine così pieno di gioia. È come se avessero vinto in due.
Dio, dunque, ascolta anche quando…non ascolta. E il suo non ascoltare è già un soccorrere. Ritardando nell’esaudire, Dio fa sì che il nostro desiderio cresca, che l’oggetto della nostra preghiera si elevi; che dalle cose materiali passiamo a quelle spirituali, dalle cose temporali a quelle eterne, dalle cose piccole passiamo a quelle grandi. In tal modo egli può darci molto di più di quanto inizialmente eravamo venuti a chiedergli.
Spesso, quando ci mettiamo in preghiera, noi somigliamo a quel contadino di cui parla un antico autore spirituale. Egli ha ricevuto la notizia che il re in persona lo riceverà. È l’occasione della vita: potrà esporgli a viva voce la sua petizione, chiedere la cosa che vuole, sicuro che gli verrà concessa. Arriva il giorno fissato, il buon uomo, emozionatissimo, entra alla presenza del re, e che cosa chiede? Un quintale di letame per i suoi campi! Era il massimo a cui era riuscito a pensare. Noi, dicevo, ci comportiamo a volte con Dio alla stessa maniera. Quello che gli chiediamo, in confronto a quello che potremmo chiedergli, è solo un quintale di concime, cose piccole, che servono per poco, che anzi a volte potrebbero perfino ritorcersi a nostro danno.
Dobbiamo ricordarci spesso della Cananea. Poche pagine del Vangelo hanno un riscontro così frequente nella vita del cristiano. Quella donna è divenuta figlia di Abramo perché ha fatto “l’opera di Abramo”: ha creduto. Ella è rimasta anonima nella storia, non fa parte dei personaggi “canonizzati” del Vangelo, come Marta e Maria e altre donne. Forse è meglio così, perché resti un simbolo aperto a tutti. Tutti possiamo e dobbiamo essere la Cananea.
Un grande ammiratore della Cananea, sapete chi era? Sant’Agostino. Egli le ha dedicato ben tre dei suoi discorsi e mai omette di ricordarla quando si trova a parlare della necessità di “pregare sempre senza stancarsi mai”. Forse quella donna gli ricordava da vicino sua madre Monica. Anche lei aveva inseguito il Signore per anni, piangendo e chiedendogli la conversione del figlio. Non si era lasciata scoraggiare da nessun rifiuto. Aveva inseguito il figlio fino in Italia e a Milano. Fino a che lo ebbe non solo convertito, ma anche vescovo, santo e dottore della Chiesa. In uno dei suoi discorsi egli ricorda le parole di Cristo:

“Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto”

e conclude dicendo: “Così fece la Cananea: chiese, cercò, bussò alla porta e ricevette. Facciamo anche noi lo stesso e anche a noi sarà aperto.