Slide 15 Slide 2 Foto di Filippo Maria Gianfelice

Nei suoi giorni abbonderà la pace - II Domenica di Avvento

Isaia 11, 1-10; Romani 15, 4-9; Matteo 3, 1-12

Ascoltiamo alcune parole, tratte tutte, eccetto una, dalle letture di questa domenica:

“Il lupo dimorerà insieme con l’agnello,
la pantera si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme” (I lettura).

“Forgeranno le loro spade in vomeri,
le loro lance in falci;
un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo,
non si eserciteranno più nell’arte della guerra” (Isaia 2, 4).

“Nei suoi giorni abbonderà la pace” (Salmo responsoriale).

Se la parola di Dio voleva urtarci e scandalizzarci, c’è riuscita. Messe in confronto con le immagini di guerra che siamo abituati ad avere davanti agli occhi, queste parole suonano come una specie di ironia amara. Quale pace? Il Messia è venuto, ma dov’è che “abbonda” la pace? Il mondo continua invece, con una regolarità impressionante, a conoscere guerre. Guerre e poi di nuovo guerre: mondiali o locali, nazionali o tribali, esterne o, cosiddette, “civili”.
La guerra, del resto, non è per molti un “tema” da trattare, è un ricordo ancora vivo. So per esperienza, cosa vuole dire veder passare la guerra sopra le proprie teste. La vallata dove sono nato, durante l’ultima guerra, si trovò presa, per alcune settimane, in mezzo a due fuochi: da una parte gli alleati che si alzavano in volo ogni giorno coi loro caccia, e scendevano in picchiata sulle nostre teste a mitragliare, dall’altra i tedeschi che rispondevano dalle colline opposte. Incertezza della vita, pane che mancava… So anche, per contrasto, cosa significa la parola pace. Rivedo la gente che, ascoltata la notizia alla radio, quell’otto settembre, si riversava per le strade abbracciandosi con le lacrime agli occhi, gridando “Armistizio, armistizio!”.
In un suo poema, Charles Péguy ci presenta Giovanna D’Arco che al tempo della guerra “dei cent’anni” tra Francia e Inghilterra, dopo aver recitato il Padre nostro, commenta amaramente: “Padre nostro che sei nei cieli, com’è lontano il tuo regno dall’arrivare! Com’è lontana la tua volontà dall’essere fatta! Come siamo lontani dall’avere il nostro pane quotidiano!”. E noi aggiungiamo: “Com’è lontana la tua pace dall’abbondare!”
Il Messia è venuto, ma le spade non sono state mutate il vomeri, né le lance in falci. O meglio, le spade sono state mutate, ma in fucili mitragliatori, non in vomeri; le lance sono state mutate, ma in missili, non in falci. Questo è uno dei motivi per cui il popolo ebraico non crede che Gesù sia il Messia: perché non vede avverate le profezie messianiche, che esso interpreta in senso letterale, e in particolare quella sulla pace.
Che possiamo dire al riguardo? Vorrei anzitutto fugare l’impressione che, parlando in nome della fede, uno abbia per questo la risposta pronta e facile su tutto. Anche per problemi come questo.
Partiamo dal Vangelo. Quando Gesù nasce, gli angeli cantano: “Pace in terra agli uomini amati dal Signore”. Il verbo sottinteso non è “sia”, ma “è”. Non si tratta, in altre parole, di un augurio, ma di un fatto. La pace è venuta sulla terra. Gesù stesso dice: “Vi do la mia pace, non come la dà il mondo io la do a voi” (Giovanni 14,27).
Cosa deduciamo da tutto questo? Che esiste un’altra pace. Che la pace non si esaurisce nella semplice assenza di guerre, o in un equilibrio di forze contrastanti. Questo sarebbe piuttosto – come giustamente abbiamo imparato a chiamarlo in anni recenti- una “guerra fredda”.
Pace è anzitutto armonia, pienezza, sicurezza di vita. “Frutto della giustizia”, la chiama la Bibbia, “tranquillità dell’ordine”, la definisce sant’Agostino: dell’ordine tra noi e Dio, tra noi e il prossimo, tra una classe sociale e l’altra, tra la ragione e gli istinti dentro ognuno di noi. La pace è un “frutto dello Spirito”. La pace -conclude la Scrittura- è Cristo stesso: “Egli è la nostra pace” (Efesini 2,14). Nella parola pace c’è infinitamente di più di quello che gli uomini hanno mai immaginato. Pace è “pienezza dei beni messianici”, ma è anche la somma dei beni cui ogni uomo, credente o no, aspira. Se si chiedesse alla gente: “Che cosa cerchi sopra tutto nella vita?”, sono sicuro che moltissimi risponderebbero: “La pace!”.
Perché Gesù dice: “Non come la dà il mondo, io la do a voi”? Come dà la pace il mondo? In Asia Minore è stata ritrovata una iscrizione in cui l’imperatore Augusto elencava le sue imprese. Parla anche della pax Romana da lui stabilita nel mondo e la definisce parta victoriis pax, una pace ottenuta mediante successive vittorie. Dunque in questa pace, come in tutte quelle puramente umane, ci sono dei vinti e dei vincitori. Anche Gesù ci ha procurato la pace con una vittoria, ma quale vittoria? “Sulla croce, è scritto, egli distrusse in se stesso l’inimicizia” (cfr. Efesini 2,16). Ha distrutto l’inimicizia, non il nemico, l’ha distrutta in se stesso, non negli altri, a sue spese, non a spese degli altri. Sulla croce Gesù è “vincitore perché vittima” (victor quia victima).
La pace ha davvero “abbondato” grazie a lui e non si contano le persone che hanno fatto e fanno anche oggi l’esperienza della “pace di Dio che supera ogni comprensione” (Filippesi 4, 7). Esse sono pronte a confermare la verità del celebre verso di Dante Alighieri: “En la sua voluntade è nostra pace”.
Quella profezia di Isaia dunque si è avverata, ma su un piano superiore, spirituale e universale. Non a vantaggio di un solo popolo, ma di tutti i popoli. A partire da Gesù, la pace, se non una realtà di fatto e generalizzata, è però almeno una “possibilità” reale offerta a tutti “gli uomini di buona volontà”. Quella di Gesù è una pace che il mondo non può dare, e perciò neppure togliere.
So già l’obiezione che nasce in chi ascolta. Ma a che ci serve questa pace se non elimina la guerra? Non c’è pericolo di ridurre, in questo modo, la pace a un fatto tutto intimo e privato, irrilevante per la storia e la vita umana? La pace, o è “politica”, cioè di tutta la polis, lo stato, o non è.
Proprio qui, credo, la fede ha qualcosa da dirci. Questa pace del cuore o interiore è l’unica che può favorire anche l’altra pace, quella esteriore. Ne è anzi la condizione e la radice. “Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?, scrive san Giacomo. Non vengono forse dalle passioni che combattono nelle vostre membra?” (Giacomo 4,1). A pensarci bene, tutte le guerre nascono dal cuore dell’uomo, spesso dal cuore di uomini ben precisi. Qui sono i veri “focolai di guerra”. Miliardi di gocce d’acqua sporca non faranno mai un oceano pulito; così miliardi di uomini senza pace nel loro cuore, non faranno mai un’umanità in pace. Il destino della pace si decide nel cuore dell’uomo.
Tuttavia non ci facciamo illusioni. La pace totale, interna ed esterna, è un traguardo “escatologico”, cioè finale: ci sarà solo quando si inaugureranno “i cieli nuovi e la nuova terra nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2 Pietro 2, 13). Nel frattempo, la ricetta vera della pace è contenuta in una parola che si legge nel Vangelo odierno:

“Convertitevi! Fate frutti degni di conversione!”.

Occorre un radicale cambiamento del cuore. Convertirsi alla pace. La pace vera si ottiene, sì, “riportando vittorie”, come diceva Cesare Augusto, ma vittorie su se stessi, non sugli altri. La pace non si fa come la guerra. Per fare la guerra, occorrono lunghi preparativi, formare grossi eserciti, predisporre strategie e poi muovere compatti all’attacco. Guai a chi volesse cominciare per primo, da solo e alla spicciolata: sarebbe votato a sicura disfatta. La pace si fa esattamente al contrario: alla spicciolata, cominciando subito, per primi, anche uno solo.
Io non posso far venire da solo la pace in quella parte del mondo dove c’è attualmente la guerra, posso però farla venire in casa mia. Non posso mettere pace tra le tribù che si combattono tra loro in Africa, posso però realizzarla tra me e il mio fratello, tu puoi realizzarla tra te e tua moglie, o, rispettivamente, tuo marito, tra te e tua cognata, tua suocera, tua nuora, tra te e il tuo collega di lavoro…Che diritto ho io di arrabbiarmi nel vedere quello che succede in certi paesi in guerra, quando nel mio piccolo, in casa mia, mi comporto come loro e obbedisco la stessa logica di dominio e di imposizione tirannica della mia volontà? Le liti! cosa sono le liti se non piccole guerre “civili” o domestiche?
È così bello fare gesti di pace e di riconciliazione! Gesù ha detto: “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”. Perché non cominciare noi a trasformare subito le spade in vomeri e le lance in falci”? Cioè le parole dure, taglienti, in parole di comprensione, di perdono; i pugni chiusi e minacciosi in mani che si tendono per una stretta, o un abbraccio, di riconciliazione? Siamo già tanto infelici: che bisogno abbiamo di renderci la vita ancora più dura, gli uni gli altri?

“Uomini, pace!
Sulla prona terra troppo è il mistero!”

È uno dei versi più belli del nostro Pascoli. (Cito spesso i poeti, non certo per fare della letteratura, ma perché sono quelli che meglio ci aiutano a cogliere, a volte, il senso delle cose).
Da me, da ciascuno di noi, dipende se questa sera stessa comincerà a realizzarsi qualcosa di quella profezia che abbiamo ascoltato: “Ai suoi giorni abbonderà la pace”. Mi permetto di suggerire una preghiera attribuita a san Francesco, il santo per eccellenza della pace:

“Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace.
Dove c’è odio, ch’io porti l’amore.
Dove c’è offesa ch’io porti il perdono.
Dove c’è discordia ch’io porti l’unione”.

Sì, Signore, fa’ di tutti noi uno strumento della tua pace!