Atti 4,32-35; 1 Giovanni 5,1-6; Giovanni 20,19-31
Il Vangelo della domenica in Albis narra le due apparizioni di Gesù risorto agli apostoli nel cenacolo. Nella prima di tali apparizioni Gesù dice agli apostoli: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo». È il momento solenne dell’invio. Nel Vangelo di Marco, lo stesso invio è espresso con le parole: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Marco 16,15).
Anche nella riflessione su questo Vangelo ci lasciamo guidare da un interesse storico. Le domande che ci poniamo sono: ma Gesù ha veramente ordinato ai discepoli di andare in tutto il mondo? Ha pensato che dal suo messaggio dovesse nascere una comunità? che esso dovesse avere un seguito? che dovesse esserci una chiesa? Ci poniamo queste domande perché, come al solito, c’è chi dà a esse una risposta negativa, contraria ai dati storici.
Il fatto indiscutibile dell’elezione dei dodici apostoli indica che Gesù aveva l’intenzione di dare vita a una sua comunità e prevedeva che la sua vita e il suo insegnamento avrebbero avuto un seguito. Non si spiegano diversamente tutte quelle parabole, il cui nucleo originario contiene proprio la prospettiva di un allargamento alle genti. Si pensi alla parabola dei vignaioli omicidi, degli operai nella vigna, al detto sugli ultimi che saranno i primi, sui molti che «verranno dall’oriente e dall’occidente per sedersi a mensa con Abramo» e innumerevoli altri detti…
Durante la sua vita terrena, Gesù non è uscito dalla terra d’Israele, eccetto qualche breve puntata nei territori pagani del Nord, ma questo si spiega con la sua convinzione di essere mandato anzitutto per Israele, per poi spingerlo, una volta convertito, ad accogliere nel suo seno tutte le genti, secondo le prospettive universalistiche annunciate dai profeti.
Un’affermazione spesso ripetuta è che nel passaggio da Gerusalemme a Roma il messaggio evangelico sia stato profondamente modificato. In altre parole, che tra il Cristo dei Vangeli e quello predicato dalle diverse chiese cristiane non ci sia continuità, ma rottura. Certo c’è tra le due cose una diversità. Ma questa si spiega. Se mettiamo a confronto la foto di un embrione nel seno materno con l’uomo di trent’anni nato da esso si potrebbe concludere che si tratta di due realtà del tutto diverse; si sa invece che tutto quello che l’uomo è diventato era contenuto e programmato nell’embrione. Gesù stesso paragonava il regno dei cieli da lui predicato a un piccolo seme, ma diceva che esso era destinato a crescere e diventare albero grande sul quale sarebbero venuti a posarsi gli uccelli del cielo (Matteo 13,32).
Ma è poi vero che il cristianesimo attuale nasce nel III se¬colo, con Costantino, come si insinua da qualche parte? Pochi anni dopo la morte di Gesù, troviamo già attestati gli elementi fondamentali della Chiesa: la celebrazione dell’Eucaristia, una festa di Pasqua con contenuto nuovo rispetto a quello dell’Esodo, il battesimo cristiano che prende il posto della circoncisione, il canone delle Scritture, che nel suo nucleo fondamentale risale ai primi decenni del II secolo, la domenica come nuovo giorno festivo che prende ben presto, per i cristiani, il posto del sabato ebraico. Anche la struttura gerarchica della Chiesa (vescovi, presbiteri e diaconi) è attestata da Ignazio d’Antiochia all’inizio del II secolo.
Non tutto, certo, nella Chiesa si può far risalire a Gesù. Ci sono tante cose in essa che sono prodotto umano della storia e anche del peccato degli uomini di cui deve periodicamente liberarsi. Ma per le cose essenziali la fede della Chiesa ha tutto il diritto di reclamarsi storicamente a Cristo.