Slide 15 Slide 2 Foto di Filippo Maria Gianfelice

Chiamati a libertà - XIII Domenica del Tempo ordinario

1 Re 19, 16b.19-21; Galati 4, 31 – 5,1,13-18; Luca 9, 51-62

Il vangelo odierno riferisce tre incontri di Cristo nel corso dello stesso viaggio. Forse essi sono avvenuti in tempi diversi ma l’evangelista Luca li mette insieme perché tutti e tre attinenti a un unico tema: le condizioni per seguire Gesù.

Primo incontro. Un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Come dire: Prima di decidere, calcola bene le conseguenze. Gesù non vuole ingannare nessuno. È costatazione universale che gli uomini politici promettono mari e monti prima delle elezioni, riservandosi di parlare delle difficoltà solo dopo che si sono assicurati il voto. Gesù fa esattamente il contrario. Seguire Cristo deve essere una scelta di libertà. Nessuno potrà mai dire di essere stato “plagiato” da Cristo.

Secondo incontro. Questa volta è Gesù stesso che rivolge l’invito a seguirlo: “A un altro disse: Seguimi. E costui rispose: Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre. Gesù replicò: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio”. Gesù non è così crudele da vietare a una persona di seppellire il proprio padre morto. La frase
è un modo di dire semitico e significa: ti seguirò dopo la morte di mio padre. Un ufficiale inglese in Medio oriente riferisce questo episodio. A un brillante giovane arabo fu offerta una borsa di studio per recarsi a studiare a Oxford o a Cambridge. La sua risposta fu: “Accetterò dopo che avrò seppellito mio padre”. Il figlio riteneva suo dovere primario assistere il padre fino alla morte, prima di decidere del suo futuro. È questo rinvio che Gesù non accetta. La sua chiamata è indilazionabile e deve passare sopra a tutto. Non si aspetta la morte del padre per sposarsi, tanto meno lo si può fare per seguire la chiamata di Dio.

Terzo incontro. “Un altro disse: Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa. Ma Gesù gli rispose: Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”. La sequela di Cristo non ammette rimpianti, ripensamenti, compromessi. L’aratore che ara con il capo rivolto indietro non traccerà di sicuro un solco diritto…Gesù da lo stesso insegnamento in positivo con le parabole del tesoro nascosto nel campo e della perla. Né il contadino né il mercante stanno a calcolare, soppesare: vendono tutto allegramente per non rischiare di perdere il tesoro e la perla. Non si voltano indietro.
L’insegnamento perennemente attuale di questa pagina di vangelo è che non si può relegare Dio in un angolino della vita, anteponendogli praticamente tutto: lavoro, affari, sport, famiglia…Non dobbiamo commettere l’errore di anteporre sistematicamente l’urgente all’importante. C’e’ una sola cosa veramente importante nella vita, perduta la quale è perduto tutto.
Dopo queste brevi note sul vangelo vorrei concentrare l’attenzione sulla seconda lettura di oggi che tocca un tema vitale per la vita cristiana. San Paolo scrive ai Galati:

“Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù…Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà”.

Finalmente, musica per le nostre orecchie!, esclamerà qualcuno. Chi non ama la libertà? Di un personaggio del Purgatorio (in realtà, di se stesso) il nostro Dante dice:

“Libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta” (Purgatorio 1, 71 s.).

Libertà è la parola che domina su tutte le altre nel pensiero moderno. Essa è la prima delle tre famose parole d’ordine della rivoluzione francese: “Libertà, uguaglianza, fraternità”. La statua della libertà all’imboccatura del porto di New York è il simbolo non solo dell’America, ma dell’aspirazione di tutti i popoli. Questo ideale è entrato in tutte le dichiarazioni dei diritti umani. Si parla di libertà di coscienza, di pensiero, di parola, di stampa, di ricerca, di libertà politica, religiosa. Tutto questo è una splendida conquista che dobbiamo salutare con gioia.
Il mondo moderno è ancora lontano, lo sappiamo bene, dal realizzare, nella pratica, tutte queste libertà che esso stesso ha sancite, soprattutto la più elementare di tutte che è la libertà dal bisogno. Ma la parola di Dio ci rivela che, se anche un giorno ci riuscisse, non per questo l’umanità sarebbe ancora veramente libera. Esiste infatti un altro livello di libertà, senza del quale tutte le libertà sancite dalla carta dei diritti umani, per quanto nobili e preziose, non rendono l’uomo pienamente libero.
Cerchiamo di scoprire di quale libertà si tratta. Un poeta latino, non certo famoso per essere un moralista, Ovidio, ha scritto due versi diventati proverbiali: “Vedo il bene e l’approvo, e poi faccio il male” (Video meliora proboque: / deteriora sequor). Una esperienza umana universale. Quante volte noi stessi, siamo costretti a dire la medesima cosa. Uno capisce benissimo che fumare, esagerare con gli alcolici, drogarsi, frequentare i giochi d’azzardo è la sua rovina. Lo vede con lucidità estrema e si ripromette di non farlo, ma poi, all’occasione, fa esattamente il contrario di quello che si è proposto.
Nessuno ha descritto questa situazione meglio dello stesso san Paolo:

“Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto….Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio…Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?” (Romani 7, 15-24).

Sempre nella seconda lettura, l’Apostolo ci spiega anche il perché di questa mancanza di libertà:

“La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge”.

Il motivo principale per cui non siamo liberi non sta dunque fuori di noi, ma dentro di noi. Esso è di due tipi: o sono le paure, per cui si osserva la legge, ma senza intima convinzione, solo per evitare il biasimo e il castigo, con la pretesa, in più, di salvarsi, in tal modo, per merito proprio; oppure, al contrario, sono i desideri disordinati, gli istinti non sottomessi alla ragione, la sensualità sfrenata (questo significa il termine “carne” nella Bibbia) che spingono a violare ogni legge. Da una parte dunque il legalismo, dall’altra il libertinismo.
Ma la parola di Dio non si limita a ricordarci che non siamo liberi e a spiegarcene il motivo; fa di più, ci indica anche il rimedio. Al grido di Paolo: “Chi mi libererà?”, segue subito la risposta: “la grazia di Cristo!” (Romani 7, 25). Morendo per noi e dandoci il suo Spirito, Cristo “ci ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Romani 8,2). Ci ha liberati da tutte e due le tirannie: quella del peccato che porta a fare il male, e quella della legge che porta a fare il bene, ma per paura e non per amore. Ci ha resi liberi, come era libero lui. Gesù è “l’uomo libero che, a Pasqua, contagia gli uomini con la sua libertà”.
Il compito ora è di “restare liberi” e non ricadere in una delle due schiavitù. Il pericolo maggiore che correvano le persone a cui si rivolgeva san Paolo era quello di ricadere nella schiavitù della legge, cercando di mettersi al sicuro davanti a Dio mediante l’osservanza di tutte le prescrizioni mosaiche e trascurando la grazia di Cristo. Ma egli non ignora che esiste anche il pericolo opposto, di credersi ormai tutto lecito, dal momento che ci si è affrancati dalla paura della legge. “Tutto mi è lecito!”, dicevano alcuni della comunità di Corinto (1 Corinzi 6, 12). A costoro l’Apostolo ricorda:

“Voi, fratelli, siete chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri” (Galati 5,13)

Se ci chiediamo a quale dei due pericoli di tradire la libertà è più esposto l’uomo d’oggi, non si tarda a scoprire che esso è proprio questo secondo. Noi ci siamo oggi affrancati dalla soggezione di fronte alla legge, soprattutto la legge di Dio, i comandamenti. Non abbiamo più paura dei castighi, neppure di quello dell’inferno. Viviamo in una società “permissiva”. Il nostro rischio maggiore di perdere la libertà che Cristo ci ha guadagnato non consiste nell’essere schiavi della legge, ma nell’essere schiavi delle passioni e degli istinti, oppure delle opinioni della gente. La nostra “legge” – più rigida di quella mosaica – è spesso la legge del “così fan tutti”, di mozartiana memoria.
Faccio un esempio molto pratico: i rapporti prematrimoniali. Una ragazza di ventisei anni scriveva: “Devo dire grazie al mio fidanzato. Lui è una persona dolce, onesta e mi ama. Ma la cosa più bella è che di comune accordo abbiamo scelto la castità fino al matrimonio. Quando parliamo delle nostre scelte per far capire come sia bello amarsi così e di come diventa sempre più forte il nostro legame, ci prendono per matti”.
Ora, io mi domando dove c’è più libertà: in questi due giovani che hanno “scelto di comune accordo” di aspettare il matrimonio, o in quelli che li prendono per matti? Quanta poca libertà c’è spesso nei giovani quando decidono di bruciare, come si dice, le tappe! Non sempre si tratta di puro e semplice cedimento ai “desideri della carne”. A volte, il ragazzo si sente obbligato a esigerlo dalla ragazza, perché se no, cosa dirà ai compagni quando si vanteranno con lui delle loro conquiste in questo campo? La ragazza si sente obbligata, se no ha paura di perdere il suo ragazzo. Una catena di costrizioni e di taciti ricatti che, ironia, viene chiamata “essere liberi di fare quello che si vuole”.
Adesso un pensiero incoraggiante, prima di finire. San Paolo, il grande cantore della libertà cristiana, ha affermato:

“Dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà” (2 Corinzi 3,17).

Il motivo è semplice: dove c’è lo Spirito di Cristo, cioè la grazia, lì non c’è solo il comando di fare o non fare certe cose; c’è anche la forza e la capacità di farlo. Anzi la grazia lo fa, essa stessa, in noi e con noi.
Nei primi anni della guerra fredda fece molto scalpore un libro intitolato “Ho scelto la libertà”. L’autore, V. Kravtchenko, era un funzionario del partito comunista russo fuggito avventurosamente in occidente che rivelava, per la prima volta, gli orrori in atto dietro la cortina di ferro. Lo ricordo in questo momento solo per il titolo. Esso potrebbe diventare il nostro motto e il nostro proposito, dopo aver ascoltato oggi Paolo che ci ha parlato di un’altra libertà. Scegliamo anche noi la libertà! La vera libertà che Cristo ci ha guadagnato morendo per noi sulla croce.