Slide 15 Slide 2 Foto di Filippo Maria Gianfelice

«Tu chi sei?» III Domenica di Avvento

Isaia 61,1-2a.10-11; 1 Tessalonicesi 5,16-24;
Giovanni 1,6-8.19-28
Per tre volte, nel brano evangelico, viene chiesto a Giovanni Battista: «Tu chi sei?». Le prime due volte egli risponde dicendo ciò che non è: «Io non sono il Cristo, non sono Elia». L’affermazione di Giovanni «Io non sono» contrasta volutamente con quella di Cristo: «Io sono»: «Io sono la via, io sono la porta, prima che Abramo fosse io sono; allora saprete che io sono…».
Il Precursore si dimostra il modello dell’uomo umile e re¬ligioso. L’essenza della religiosità consiste nel riconoscere l’infinita differenza qualitativa che c’è tra Dio e l’uomo, tra il Creatore e la creatura, sentendosi con ciò esaltati, non umiliati, protetti, non schiacciati. L’«Io sono» che Dio pronuncia davanti a Mosè in Esodo 3 e che Gesù applica a se stesso, significa infatti anche «Io ci sono», ci sono per voi, sono con voi. Dio usa la sua onnipotenza per noi, non su di noi, per salvarci, non per dominarci. In Cristo tutto ciò è divenuto evidente, costatabile. Nella prima lettura Gesù applica a se le parole di Isaia e dichiara di essere stato mandato «a portare il lieto an¬nunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri».
La domanda: «Chi sei tu?» si pone anche per noi e rispondere a essa è l’inizio di ogni vera sapienza. Sul frontone del tempio di Apollo a Delfi c’era incisa la famosa frase: «Conosci te stesso». Quando alla frontiera o in qualche ufficio ci chiedono «Chi sei?», noi presentiamo un documento di identità in cui c’è scritto il nostro nome, cognome, data di nascita, colore degli occhi, statura. Ma se a porci la domanda siamo noi stessi, magari mentre ci guardiamo allo specchio, non basta ripetere i nostri dati anagrafici; c’è un’altra identità ben più profonda che conosciamo solo noi.
Dal punto di vista religioso, alla domanda «Chi sei?», ci sono tre sole risposte possibili: sono un credente, sono un non-credente, sono un agnostico. Quest’ultima risposta può prendere due forme: primo, sono uno che non sa se Dio esiste, ma è in ricerca della verità e di Dio; secondo, sono uno che non sa se Dio esiste e a cui non interessa saperlo. Quest’ultima è la posizione più pericolosa di tutte. Ricordo la scena del film La terra di Aleksandr Dovzˇenko sull’inizio della rivoluzione bolscevica in Ucraina. La folla marcia contro la chiesa del villaggio gridando: «Dio non c’è!», ma una vecchietta, in disparte, ripete tra se perplessa: «Va bene, Dio non c’è. Ma se poi c’è?».
Giovanni Battista protestò con forza: «Io non sono il Messia, non sono il vostro salvatore, non sono la luce, sono soltanto un testimone della luce!». C’è oggi una forma di ateismo che non si limita a negare l’esistenza di Dio, ma tacitamente si arroga le prerogative di Dio, si mette al posto di Dio. Alcuni scienziati atei rientrano in questa categoria. C’è un messianismo della scienza che pretende di dare la salvezza, la risposta ultima, di essere l’unica luce che rischiara il mondo. La figura e la parola del Precursore sono un invito rivolto a tutti a rientrare nei nostri panni, a non esaltarci per non essere precipitati.
Alla terza domanda «Chi sei?» Giovanni Battista rispose dicendo finalmente quello che credeva di essere. «Io sono voce di uno che grida». Sant’Agostino ha spiegato la differenza tra la voce e la parola. Gesù è la Parola, il Verbo, lui la voce. La voce serve a trasportare la parola da colui che parla a colui che ascolta. Una volta assolto questo compito, la voce tace, scompare, mentre la parola rimane in chi la ascolta e, nel caso della Parola che è Cristo, lo salva. La voce dice del Verbo quello che il Battista diceva di sé in relazione a Gesù: «Adesso lui deve crescere, io diminuire».