Isaia 43, 16-21; Filippesi 3, 8-14; Giovanni 8, 1-11
L’episodio della donna colta in adulterio ed è collocato in questa Domenica a ridosso della Pasqua in quanto ambientato, geograficamente, nelle adiacenze del tempio di Gerusalemme e, cronologicamente, verso la fine della vita di Gesù. Comincia così:
“All’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava”.
Il brano dell’adultera si trova nel Vangelo di Giovanni, non in quello di Luca che si legge quest’anno. Ma il suo contenuto è così vicino allo spirito di questo evangelista che la liturgia ha fatto bene a inserirlo a questo punto, dopo la parabola del figliol prodigo. Esso ci dice che la realtà è ancora più bella della parabola. Nella parabola, c’è un figlio maggiore che però rimane a casa e anzi si risente del perdono accordato così facilmente al figlio minore; nella realtà, il fratello maggiore, Gesù, non è rimasto a casa, ma è andato lui alla ricerca del fratello minore per riportarlo a casa. L’adultera è una delle tante pecorelle smarrite che Gesù riporta all’ovile sulle spalle.
L’episodio dell’adultera è un mini-dramma in due atti, o due scene. La prima scena ha molti personaggi: gli accusatori, la donna, Gesù; la seconda, due soli: Gesù e la donna. Leggiamo quello che si riferisce al primo atto:
“Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici? Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi”.
Ricostruiamo mentalmente la scena. Gesù sta insegnando. Improvvisamente, il cerchio degli ascoltatori si apre per far passare una donna spintonata da una muta di farisei vociferanti. Gliela mettono di fronte e si dispongono intorno in cerchio, forse con le braccia conserte: “Tu che ne dici?”. Non erano venuti per chiedere un parere, ma per tendergli un tranello. Come quando gli chiedono se è lecito o no pagare il tributo a Cesare. Il tranello consiste in questo: se dice di non lapidarla, si mette contro la Legge di Mosè e potrà essere accusato come trasgressore; se dice di lapidarla, perderà finalmente quell’aura di maestro buono, pietoso con i peccatori, che gli attira il favore del popolo.
Gesù non proferisce parola. Si china a tracciare dei segni. Forse ha bisogno lui stesso di riflettere, forse vuole mettere a fuoco le intenzioni degli interlocutori. Alla fine, alza lo sguardo e dice: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. Una frase che reca il marchio inconfondibile del linguaggio lapidario di Gesù. Somiglia alla frase con cui sventò il tranello del tributo a Cesare: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. Egli taglia il nodo, portando il discorso a un livello più profondo di quello degli interroganti.
Fu come se, con quella frase, egli avesse sollevato di colpo il coperchio dalla coscienza di ognuno. Gesù possedeva in grado sommo il dono della “scrutazione dei cuori”. Conosceva quello che c’era nel cuore delle persone che aveva davanti, e queste a volte se ne accorgevano. Il silenzio si fece pesante e insopportabile; i più anziani cominciarono a dileguarsi alla chetichella, forse spaventati dall’idea che Gesù intendesse aiutarli a scavare nella loro vita passata, per vedere se erano davvero senza peccato, compreso proprio il peccato che rimproveravano alla donna. Essi sapevano bene che il decalogo non vietava solo l’adulterio materiale, ma anche “desiderare la donna d’altri”!
Seconda scena: Gesù solo con l’adultera:
“Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? Ed essa rispose: Nessuno, Signore. E Gesù le disse: Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”.
Il tribunale si è spopolato; nell’aula sono rimasti solo il giudice e l’imputata. Finora Gesù è rimasto chinato a terra; ora si alza, guarda la donna: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?” “Donna”: sulle labbra di Gesù questo titolo non suona disprezzo come sulle labbra degli accusatori (“questa donna…donne come questa”), ma onore e rispetto. È lo stesso titolo con cui si rivolse alla Madre dall’altro della croce: “Donna, ecco tuo figlio”. Chissà con che tono, nel silenzio seguito alla partenza degli accusatori, la donna risponde a Gesù: “Nessuno, Signore”. E Gesù: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”.
Così facendo, Gesù non sconfessa la Legge mosaica, solo rivela il carattere provvisorio e contingente di alcune sue prescrizioni. A proposito d’una disposizione analoga contro le donne (il libretto del ripudio), dice: “È per la durezza del vostro cuore che Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli” (Matteo 19, 8). Anche in questo caso dunque Gesù non è venuto ad abolire la Legge, ma a portarla al suo compimento. Egli è l’unico senza peccato; l’unico perciò che poteva scagliare la prima pietra, dando corso alla giustizia della Legge. Ma egli rinuncia al diritto di condannare, perché “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (cfr. Ezechiele, 33, 11).
Passato il terrore, la donna sente quello sguardo di misericordia come un balsamo che le scende nel cuore. Nessun uomo l’aveva mai guardata cosi! Quanta nuova fiducia dovette infondere nella donna quel “va’!”. In quel momento, esso significava: torna a vivere, a sperare, torna a casa; riprendi la tua dignità di donna; annuncia agli uomini, con la tua sola presenza tra di loro, che non c’è solo la legge, c’è anche la grazia; non c’è solo la giustizia, c’è anche la misericordia.
Per capire cosa deve aver provato la donna, bisognerebbe pensare a una condannata a morte cui una persona amica annuncia improvvisamente che ha ricevuto la grazia. Fino a un minuto prima, l’adultera era nella condizione di una condannata a morte nell’imminenza dell’esecuzione; ora è libera di andare. Ma di più: nel suo caso non è solo la pena che è sospesa, ma anche la colpa che è cancellata. Libera non solo fuori, davanti agli uomini, ma anche dentro, davanti a Dio. Giustificata, come il pubblicano quando scese dal tempio
Questa pagina di Vangelo ha sempre sconcertato un po’ i cristiani. Solo di recente essa è stata inserita in una liturgia domenicale. Si spiega la difficoltà incontrata da questo brano per essere ammesso nel canone delle Scritture, difficoltà documentata dal fatto che molti codici antichi lo omettono. In un’epoca in coi l’adulterio era considerato uno dei peccati senza possibilità di perdono nella Chiesa, l’atteggiamento di Gesù, che non ingiunge all’adultera neppure una salutare penitenza, non poteva che sconcertare. C’era più motivo per togliere questo brano dai Vangeli se vi si trovava, che per mettervelo, se vi era assente. Non c’è dunque motivo serio di dubitare della storicità del fatto, anche se non fosse Giovanni ad averne scritto il racconto.
Ciò che Gesù volle inculcare in quella circostanza non è che l’adulterio non è peccato, o che è cosa da poco. C’è una condanna esplicita di esso, anche se delicatissima, nelle parole: “Non peccare più”. L’adulterio resta infatti una colpa devastante che nessuno può tenersi a lungo e tranquillamente sulla coscienza, senza rovinare con essa, oltre la propria famiglia, anche la propria anima. Mette la persona nella non-verità, costringendola quasi sempre a fingere e a condurre una doppia vita. Non è solo tradimento del coniuge, ma anche di se stesso. Gesù non intende dunque approvare l’operato della donna, ma intende condannare l’atteggiamento di chi è sempre pronto a scoprire e denunciare il peccato altrui.
Ma attenti, perché qui rischiano di essere noi quelli che scagliano la prima pietra! Condanniamo i farisei del Vangelo perché sono senza misericordia per gli sbagli del prossimo, e magari non ci accordiamo che spesso noi facciamo esattamente come loro. Noi non brandiamo più le pietre contro chi sbaglia (la stessa legge civile ce lo vieterebbe!), ma il fango sì, la maldicenza sì, la critica sì. Se qualcuno della nostra cerchia di conoscenze cade, o fa parlare di sé, gli si è subito addosso scandalizzati, come quei farisei. Ma spesso non perché si detesta veramente il peccato commesso, ma perché si detesta il peccatore. Perché, dal contrasto con la condotta altrui, si vuole, inconsciamente, far brillare la nostra. Il Vangelo che abbiamo meditato ci propone un grande rimedio a questa pessima abitudine. Esaminiamoci bene, con l’occhio con cui ci vede Dio, e allora sentiremo, sì, il bisogno di correre da Gesù, ma a chiedere il perdono per noi, non la condanna per gli altri.
Non si può terminare il commento a questo brano evangelico, senza accennare alla rivoluzione silenziosa, ma grandiosa che in esso si attua. Quella donna, buttata per terra, tremante di paura, guardata dall’alto in basso da una schiera di uomini dalle ciglia aggrottate, umiliata e senza possibilità di difendersi, è purtroppo l’immagine esatta di ciò che era, a quel tempo, la donna nella società: discriminata anche nel peccato. Dove era l’uomo che aveva peccato con lei? Non era anche lui colpevole?
Ma perché scandalizzarci del passato? Non avviene qualcosa del genere anche oggi, per esempio a proposito della prostituzione? Questa, nell’immaginario popolare, rimane ancora un problema riguardante le donne (non esiste un corrispondente maschile di prostitute!), mentre sappiamo bene quanta parte abbiano in essa anche gli uomini, e non solo quelli che vanno materialmente da esse, ma soprattutto quelli che le arruolano, le costringono e le sfruttano. In certe aree geografiche e in certe culture, quanta umiliazione e soggezione ancora della donna nell’ambito famigliare e sociale. Non compagna, ma proprietà dell’uomo. Gesù si oppone a quella situazione, ne smaschera l’iniquità. Chiunque oggi si batte per dare piena dignità e parità di diritti alla donna davanti a Dio, davanti all’uomo e davanti alla Chiesa, lo sappia o no, si trova ad avere in Gesù un precursore e un alleato che non può ignorare.
Adesso, per finire, dimentichiamo tutto e tutti e riascoltiamo, come detta a ciascuno di noi indistintamente, la parola dolcissima che Gesù pronuncia nel Vangelo di oggi: “Io non ti condanno: va’ e non peccare più”.