Atti 10,34a.37-43; 1 Corinzi 5,6b-8; Giovanni 20,1-9
«Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù, il crocifisso. È risorto!» Non è difficile immaginare cosa successe dopo queste parole che si leggono nel Vangelo di Matteo. Le don¬ne si precipitano giù per la collina, tenendosi le gonne con la mano per non inciampare. Entrano trafelate nel cenacolo e, prima ancora che comincino a parlare, ognuno dei presenti capisce, solo guardando il loro volto e i loro occhi, che qualcosa di inaudito è accaduto. Tutte insieme, confusamente, si mettono a gridare: «La tomba è vuota, il Maestro è vivo!». La notizia della risurrezione cominciava così la sua corsa attraverso la storia, come un’onda calma e maestosa che niente e nessuno potrà più fermare fino alla fine del mondo.
Ma è veramente risorto Gesù? Quali garanzie abbiamo che si tratta di un fatto realmente accaduto e non di una in¬venzione o di una suggestione? San Paolo, scrivendo a non più di venticinque anni di distanza dai fatti, elenca tutte le persone che lo hanno visto dopo la sua risurrezione, la maggioranza dei quali era ancora in vita: prima Pietro, poi i Dodici riuniti, poi cinquecento fratelli in una volta. «Ultimo fra tutti, conclude l’Apostolo, apparve anche a me» (1 Co¬rinzi 15,8). Chi parla è dunque un testimone oculare. Di quale fatto dell’antichità abbiamo testimonianze così forti come di questo?
Ma a convincerci della verità del fatto è anche un’osservazione generale. Al momento della morte di Gesù i discepoli si sono dispersi; il suo caso è dato per chiuso: «Noi speravamo che fosse lui…», dicono i discepoli di Emmaus. Evidentemente, non lo sperano più. Ed ecco che, improvvisamente, vediamo questi stessi uomini proclamare unanimi che Gesù è vivo, affrontare, per questa testimonianza, processi, persecuzioni e infine, uno dopo l’altro, il martirio e la morte. Che cosa ha potuto determinare un cambiamento così totale, se non la certezza che egli era veramente risorto?
Non possono essersi ingannati, perché hanno parlato e mangiato con lui dopo la sua risurrezione; e poi erano uomini pratici, tutt’altro che facili a esaltarsi. Essi stessi sulle pri¬me dubitano e oppongono non poca resistenza a credere. Neppure possono aver voluto ingannare gli altri, perché se Gesù non era risorto, i primi ad essere stati traditi e a rimetterci (la stessa vita!) erano proprio loro. Senza il fatto della risurrezione, la nascita del cristianesimo e della Chiesa di¬venta un mistero ancora più difficile da spiegare che la ri¬surrezione stessa.
Questi sono alcuni argomenti storici, oggettivi, ma la prova più forte che Cristo è risorto è che è vivo! Vivo, non perché noi lo teniamo in vita parlandone, ma perché lui tiene in vita noi, ci comunica il senso della sua presenza, ci fa sperare.
Quelli che non credono nella realtà della risurrezione han¬no sempre avanzato l’ipotesi che si sia trattato di fenomeni di autosuggestione; gli apostoli hanno creduto di ve¬dere. Ma questo, se fosse vero, costituirebbe, alla fine, un miracolo non meno grande di quello che si vuole evitare di ammettere. Suppone infatti che persone diverse, in situazioni e luoghi di¬versi, abbiano avuto tutte la stessa allucinazione. Le visioni immaginarie arrivano di solito a chi le aspetta e le desidera intensamente, ma gli apostoli, dopo i fatti del venerdì santo, non aspettavano più nulla.
La risurrezione di Cristo è, per l’universo spirituale, quello che fu per l’universo fisico, secondo una teoria moderna, il Big bang iniziale: un’esplosione tale di energia da imprimere al cosmo quel movimento di espansione che dura ancora oggi, a distanza di miliardi di anni. Togli alla Chiesa la fe¬de nella risurrezione e tutto si ferma e si spegne, come quando in una casa cade la corrente elettrica. Non è la morte di Cristo che distingue i credenti dai non credenti (tutti credo¬no che egli sia morto!), ma la sua risurrezione. «La fede che fa i cristiani» ha scritto sant’Agostino «è la risurrezione di Cristo».