Slide 15 Slide 2 Foto di Filippo Maria Gianfelice

Fu tentato dal diavolo

I Domenica di Quaresima
Deuteronomio 26, 4-10; Romani 10, 8-13; Luca 4, 1-13

Tutti i giorni noi ci indigniamo nel sentire il male che c’è nel mondo. Raramente prestiamo attenzione al male che c’è in noi, nei pensieri, nelle abitudini, nei rapporti personali, anche se esso è l’unico che dipende da noi eliminare dal mondo. Il Vangelo delle tentazioni di Gesù nel deserto, con cui inizia il tempo di Quaresima, ci aiuta, vedremo, a realizzare questo spostamento dell’attenzione da fuori a dentro di noi. Narra il Vangelo di Luca:

“Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni; ma quando furono terminati ebbe fame”.

Alla fine del digiuno, entra il campo il tentatore e inizia la serie delle tre tentazioni. Qualcuno potrebbe rimanere scandalizzato al sentire che anche Gesù fu tentato. Non era egli il Figlio di Dio? Certo che lo era, ma era anche uomo e come uomo ha voluto “essere provato in tutto, come noi, eccetto il peccato”. E questo è una grande consolazione per noi.
Dunque prima tentazione:

“Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane”.

Seconda tentazione:

“Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo”.

Terza tentazione:

“Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù”.

Al di sotto di queste tre tentazioni, c’è unica tentazione in tre forme diverse: la cosiddetta “tentazione messianica”. Essa consiste nella proposta di imporsi agli uomini con potenza e miracoli. Gesù rifiuta questa via a favore di un’altra che nel suo cuore sente come voluta dal Padre per lui. La posta in gioco è decisiva. Il minimo errore di orientamento deciderebbe del futuro dell’uomo, di Cristo e di Dio stesso. Gesù è a un bivio. Di qui l’importanza accordata, nei vangeli, a questo momento della vita di Cristo.
Rifiutare la croce significherebbe salvare la gloria della divinità, secondo l’idea che di essa si sono sempre fatti gli uomini; accettare la debolezza, l’umiltà e, finalmente, l’ignominia della croce, significa introdurre nel mondo una novità assoluta su Dio e sul Messia, che però deluderà tutte le attese, scandalizzerà e metterà Gesù in conflitto con l’ambiente religioso. Gesù sceglie, senza esitazione alcuna, la via tracciatagli dal Padre. Orienta la sua vita verso la Pasqua e verso l’obbedienza fino alla morte.
L’episodio delle tentazioni non è importante solo per quello che ci dice su Gesù, ma anche per quello che dice su di noi. Non è una pagina del Vangelo chiusa, ma di una tremenda attualità che vorremmo in questa circostanza cercare di cogliere. Se è vero che al di sotto delle tre tentazioni c’è sottintesa l’unica tentazione propria del Messia, è anche vero che ognuna di esse racchiude un significato ben preciso e di portata universale.
In altre parole, nelle tre tentazioni di Gesù sono preannunciate tutte le nostre tentazioni. Dostoevskij diceva che se esse non si trovassero nei Vangeli e bisognasse inventarle e si mettessero a lavoro, a questo scopo, tutti i sapienti della terra, essi non riuscirebbero a escogitare qualcosa di paragonabile, per forza e profondità, a quelle tre domande. “In esse è come riassunta in blocco e predetta tutta la futura storia umana” (I fratelli Karamazov, Leggenda del Grande Inquisitore).
Con questa convinzione, proviamo a rileggere le tre tentazioni di Gesù. “Di’ che queste pietre diventino pane”: è la tentazione di stravolgere il corso naturale delle cose, di cambiare la via normale di procurarsi il nutrimento. Ma non è quello che si ripete oggi, per esempio, nella progettata clonazione dell’uomo? Essa stravolge completamente il modo naturale di propagarsi della vita. Senza aspettare che vi sia stata alcuna adeguata discussione tra le istanze sociali interessate (scienza, etica, filosofia, politica, religione), con essa, una o due persone decidono autonomamente del futuro dell’umanità, arrogandosi prerogative divine. Si cade in una sorta di messianismo della scienza, del tipo rifiutato da Gesù, che abbaglia con promesse di cui si ignora la contropartita.
Kierkegaard fa notare che l’acutezza sovrumana della tentazione di Cristo sta in questo: egli ha fame, ha la possibilità di fare un miracolo per procurarsi il cibo, ma deve trattenersi dall’impiegare il suo potere, perché non è così che il Padre celeste vuole sia impiegato (Kierkegaard, Diario, X4A 181). In ciò il rifiuto di Cristo diventa esemplare per noi oggi. Esso ricorda alla scienza che, per il semplice fatto che “può” (cioè che è nelle sue capacità) fare una certa cosa, non è detto che “possa” (che sia lecito) farla. Una tentazione tremenda, dalla quale speriamo che gli scienziati escano vincitori, evitando di cadere in un delirio di onnipotenza della scienza che potrebbe rivelarsi fatale.
Passiamo alla seconda tentazione: “Ti darò potenza e gloria, se prostrato mi adorerai”. La tentazione di acquistare poteri straordinari e successo, anche a costo, come si dice, di “vendere l’anima al diavolo”. Non è quello che succede nella magia, occultismo, spiritismo, riti satanici e cose del genere che infestano il nostro mondo e seducono tanta gente?
Terza tentazione: “Se sei Figlio di Dio, buttati giù”. La tentazione della spettacolarità, di attirare l’attenzione, a qualunque costo. È ciò che spinge oggi tante persone (spesso adolescenti) a fare cose strane, inutili e perfino aberranti, pur di far parlare di sé e finire sulle pagine dei giornali; l’apparire diventa più importante dell’essere. Aveva ragione Pascal: “C’è gente disposta a fare gettito perfino della vita, a patto che qualcuno ne parli”.
Ma cerchiamo ora di scavare un po’ più in profondità nella dinamica della tentazione per sapere come fronteggiarla. La tentazione infatti non è limitata ai casi che abbiamo accennato, ma in forme diverse, più quotidiane, è l’esperienza comune di tutti. Che cos’è la tentazione? Nell’accezione ordinaria, è l’attrattiva esercitata su di noi da ciò che percepiamo come male, o anche l’istigazione e la spinta a commetterlo che viene dal demonio, dalle nostre concupiscenze e dal mondo che ci circonda.
Bisogna distinguere subito la tentazione dal peccato. Gli antichi Padri, che furono specialisti in fatto di lotta alle tentazioni, ci dicono: “Due sono i modi in cui opera la tentazione: il primo genera il piacere, l’altro il dolore; uno lo approviamo, l’altro lo disapproviamo. Il primo porta al peccato ed è quello che intendiamo quando diciamo: ‘Non ci indurre in tentazionÈ; l’altro è piuttosto espiazione per il peccato e ad esso si riferisce la parola: ‘Considerate perfetta letizia, quando subite ogni sorta di tentazione, sapendo che la tentazione produce pazienza’ (Giacomo 1, 2)” (S. Massimo Confessore).
È essenziale perché si abbia vera tentazione che essa sia percepita come tale, cioè come spinta al male. Diversamente, si tratterà di illusione, di errore di valutazione morale (che possono essere altrettanto dannosi e colpevoli), ma non di tentazione. Questa consiste nel sapere, almeno vagamente, che una certa cosa è sbagliata, che il suo esito finale sarà negativo e tuttavia sceglierla per la soddisfazione immediata che promette. È preferire l’immediato al giusto.
Poche cose si prestano a esemplificare la dinamica della tentazione come la droga. Il giovane non può non sapere, con tutto quello che ha sotto i suoi occhi, che la droga porta all’autodistruzione e alla morte. E tuttavia si lascia sedurre dalla promessa di una soddisfazione immediata. Vuole provare. Magari ripromettendosi di fermarsi in seguito, quando lo deciderà. Senza sapere che il primo effetto della droga sarà proprio quello di togliergli questa capacità di volere e di decidere alcunché e di renderlo schiavo, “tossico-dipendente” appunto. Si ripete la tentazione del serpente: “Non morirete affatto…anzi si apriranno i vostri occhi” (cfr. Genesi 3, 4.5). Ma non fu così. È la vera tragedia dei giovani d’oggi.
“Chi ama il pericolo, perirà in esso”, dice la Scrittura. Non si può flirtare con la tentazione. Farlo, significa cadervi. Questo ci riguarda tutti. La porta ordinaria per cui si introduce la tentazione e la rappresentazione. È scritto che Satana “mostrò” a Gesù tutti i regni: glieli fece vedere. L’immagine, una volta introdotta nella nostra fantasia, vi si annida creando una spinta impellente a tradursi in realtà e in azione. Anche la caduta di Eva cominciò dagli occhi: “Vide che l’albero era buono, gradito agli occhi e desiderabile” (Genesi 3,6).
Ora noi viviamo in una civiltà dominata dall’immagine. Ne siamo bombardati da mattina a sera: televisione, rotocalchi, pubblicità, films. Se Gesù, in quei quaranta giorni, praticò il digiuno dai cibi, noi oggi dobbiamo aggiungervi il digiuno dalle immagini. Non tutte le immagini, ovviamente, ma quelle immagini che sappiamo essere per noi deleterie. Esse non sono solo le immagini di nudi e di sesso, ma anche quelle di vestiti costosi, vetrine scintillanti e oggetti di lusso, o di piatti succulenti e superalcolici, per chi è incline a esagerare nel mangiare e nel bere.
Per nostra fortuna, Gesù non ci ha lasciato solo un esempio di come si deve lottare; ci ha meritato anche la grazia di vincere. In lui, nostro capo, eravamo anche noi che combattevamo e vincevamo il nemico, come in Adamo eravamo stati da lui vinti. Nelle tentazioni, la prima cosa da fare e valerci di questo diritto, appropriandoci, nella fede, della vittoria di Cristo e invocando su di noi lo stesso Spirito che “condusse” Gesù nel deserto e lo aiutò a vincere il tentatore.
L’arma migliore contro le tentazioni è quella usata da Gesù: la parola di Dio, che Paolo chiama “la spada dello Spirito”. Consiste nel ripetere mentalmente una parola della Scrittura contraria alla tentazione. Per esempio: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”, se si è tentati nella purezza; “L’ira dell’uomo non produce ciò che è giusto davanti a Dio”, se siamo tentati dalla collera. Preferibilmente, sempre la stessa parola.
La tentazione allora si tramuta per noi in occasione e opportunità. Ogni tentazione superata ci fa fare un salto di qualità; produce un’intima gioia e questa, a sua volta, diventa il nostro migliore alleato nello sforzo di sottrarci al fascino del male.