Slide 15 Slide 2 Foto di Filippo Maria Gianfelice

Prima domenica di Avvento - Anno B

«Vegliate!»
I Domenica di Avvento
Isaia 63,16b-17.19b; 64,1c-7; 1 Corinzi 1,3-9; Marco 13,33-37
La parola che risuona al di sopra di tutte nel brano evangelico è: vigilate, vegliate! Veglie (vigiliae in latino) erano dette dai romani le tre parti in cui era divisa la notte; di qui la parola passò a indicare i turni di veglia militari e delle sentinelle. I cristiani indicarono con vigilia, o veglia, il tempo passato in preghiera e digiuno la notte che precedeva le grandi solennità, soprattutto la Pasqua. In questo senso vigilare si¬gnifica astenersi dal sonno, rimanere desti.
Ma questo non è l’unico significato. Vegliare, vigilare sono parole molto usate anche nel linguaggio corrente. Ci sono istituti di vigilanza, urbana, notturna. Si vigila sui prezzi. Contro il terrorismo si rafforza la vigilanza. Ci sono poi i nostri cari vigili urbani… In tutti questi casi vigilare, o vegliare, non significa principalmente astenersi dal sonno, ma sor-vegliare, stare all’erta, essere preparati per non lasciarsi cogliere di sorpresa dagli eventi.
Questo senso metaforico è quello che vegliare ha anche sulle labbra di Gesù. (I cristiani devono essere tutti dei «vigili», anche se senza divisa). Lo si vede dalla serie di verbi con cui è associato: «Vigilate e state attenti», «Vigilate per non cadere in tentazione», «Vigilate e pregate», «Vigilate e siate sobri», «Vigilate e state pronti»…
Qui è il punto. Pronti a che cosa? L’evento dal quale non bisogna farsi cogliere impreparati è il ritorno di Cristo. Cioè, che cosa? La fine del mondo? Sì, ma non del mondo in generale che avverrà forse tra milioni o miliardi di anni, quando noi non ci saremo più e perciò ci interessa fino a un certo punto. La fine del mio mondo, della mia vita che, anno più anno meno, sta davanti a tutti noi come l’unica cosa assolutamente certa della vita. Stare pronti, spiega Gesù con la parabola delle dieci vergini, significa tenere la lucerna della fede accesa, vivere riconciliati con Dio e con il prossimo, senza pendenze gravi con la propria coscienza.
Il grido di Gesù «vegliate!» per molti oggi si dovrebbe tradurre paradossalmente con «dormite!». La civiltà moderna ha turbato il ritmo naturale di vita scandito dall’avvicendarsi di notte e giorno. Ha fatto della notte il tempo del chiasso, dell’agitazione, degli eccessi, dello stordimento. Quante disgrazie sulla strada dovute alla violenza fatta al sonno!
La notte può, certo, essere il tempo migliore per una festa, una cena, un divertimento sano, per stare insieme. Ma questo dovrebbe essere l’eccezione, non la regola, e soprattutto non dovrebbe occupare tutta la notte, a spese del lavoro, dello studio e della salute. Il Vangelo raccomanda la pratica delle veglie, non dei «veglioni»…
Il poeta Péguy mette in bocca a Dio questo elogio del sonno e della notte: «Non mi piace chi non dorme, dice Dio. Il sonno è l’amico dell’uomo. È forse la mia creatura più bella. E io stesso mi sono riposato il settimo giorno… La notte è il luogo in cui si ricrea l’essere. In cui si riposa, in cui si ritira, in cui si raccoglie».
Per alcuni, è vero, non dormire di notte non è una scelta, ma una dura necessità o una croce. Parlo di quelli il cui tipo di lavoro comporta turni di notte, o che soffrono di insonnia cronica. A questi ultimi si consiglia talvolta di mettersi a contare mentalmente le pecore; io suggerirei piuttosto di contare i grani di una corona del rosario! Aiuta a interrompere il flusso di pensieri ansiosi che impediscono di prendere sonno. Nei salmi ascoltiamo uno che dice a Dio: «Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo e penso a te nelle veglie notturne, esulto di gioia all’ombra delle tue ali» (Salmo 62,7-8). Auguro di farne l’esperienza a chi soffre di insonnia.