Slide 15 Slide 2 Foto di Filippo Maria Gianfelice

Cristo ha amato la Chiesa - XXI Domenica del tempo ordinario

Giosuè 24, 1-2a.15-17b; Efesini 5, 21-32; Giovanni 6, 61-70

Con questa Domenica si conclude il ciclo di Vangeli tratti dal capitolo sesto di Giovanni. Assistiamo all’epilogo drammatico dell’intero discorso. Alcuni hanno trovato duro da comprendere quello che Gesù ha detto, e se ne vanno. Egli allora, rivolto agli apostoli dice: “Volete andarvene anche voi?” Al che Pietro risponde: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”.
Gli apostoli fanno, in questo momento, la scelta definitiva di Cristo. Se finora lo avevano seguito pensando che egli avrebbe realizzato i loro sogni terreni, ora sanno che bisogna rinunciare a tutti i propri sogni terreni per seguirlo. Questa scelta rimarrà definitiva per tutti fino alla morte, eccetto per uno, Giuda.
Ascoltando questo Vangelo siamo invitati a rinnovare anche noi la nostra scelta di Cristo. In passato si avvertiva meno il bisogno di questa scelta personale, perché si era portati a essere cristiani dalla tradizione e dal costume, ma ora non è più così. Come, in amore, i giovani non accettano più oggigiorno che siano i genitori a scegliere per loro chi devono sposare, così, in fatto di religione, non ci si può più accontentare delle scelte fatte da altri per noi, senza farle proprie e ratificarle. Tutto questo è un bene e un progresso, ma crea anche responsabilità. Vuol dire che bisogna scegliere, decidersi. La cosa peggiore sarebbe non accettare che altri scelgano per noi e neppure scegliere noi stessi.
Questa volta però la nostra riflessione si concentrerà sulla seconda lettura, perché contiene un tema importante che non possiamo lasciar passare inosservato. Leggiamone una parte:

“E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa…, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata… Nessuno ha mai preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa… Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una carne sola. Questo mistero è grande per il suo riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Efesini 5, 25-32).

L’apostolo sta esortando gli sposi cristiani ad amarsi e rispettarsi tra loro e il motivo più forte che adduce è l’esempio di ciò che fa Cristo nei confronti della Chiesa, sua mistica sposa. Il matrimonio trova la sua massima dignità, dal punto di vista religioso, nel fatto che è un’immagine del rapporto Cristo – Chiesa. Per una volta lasciamo da parte il discorso sul matrimonio umano (ne abbiamo parlato altre volte) e concentriamoci invece sul tema della Chiesa. Ce n’è un enorme bisogno, vista la confusione che c’è in giro a suo riguardo, tra gli stessi credenti.
L’affermazione dell’Apostolo, “Cristo ha amato la Chiesa”, sottintende una domanda; la fa quasi risuonare nell’aria: Cristo ha amato la Chiesa. E tu? Si sente ripetere spesso: “Cristo sì, la Chiesa no”. In alcune parti del mondo esiste un termine apposito per designare questa categoria di credenti: gli unchurched Christians, i cristiani senza Chiesa. Più che criticare o condannare questo atteggiamento, vorrei sforzarmi di capirlo, per aiutare, se possibile, qualcuno a superarlo.
Una delle cause principali dell’equivoco è che, quasi sempre, quando si dice “Chiesa”, si intende, in realtà, “il papa, i vescovi e i preti”, cioè la gerarchia della Chiesa. Questo è il soggetto sottinteso quando si dice: “La Chiesa sbaglia qui, la Chiesa sbaglia là; perché la Chiesa ha detto? perché la Chiesa ha fatto?” È una mentalità che la gerarchia stessa, in passato, ha contribuito a creare, ma va assolutamente superata. La Chiesa non è “il papa, i vescovi e i preti”, come l’Italia non è solo i suoi governanti. È “il popolo di Dio”, cioè l’insieme dei battezzati. Il concilio Vaticano II lo ha affermato con forza. La Chiesa siamo tutti noi!
Se comprendiamo questo, cambia il nostro modo di vedere la Chiesa. Se uno guarda la vetrata di un’antica cattedrale dall’esterno, dalla pubblica via, non vedrà (fateci caso quando visitate una chiesa), che pezzi di vetri oscuri tenuti insieme da strisce di piombo esso stesso scuro. Ma se uno entra nella cattedrale e guarda la stessa vetrata dall’interno, contro luce, allora è uno spettacolo di colori e di forme che fa rimanere senza respiro. Succede lo stesso con la Chiesa. Chi la guarda come osservatore esterno, con gli occhi dei non credenti e dei suoi nemici, non vede che miserie a non finire, ma chi la guarda dal di dentro, con gli occhi della fede, sentendosi parte di essa, vedrà quello che vedeva Paolo: un grande e meraviglioso “mistero”!
Una altra fonte di equivoco è che non si distingue, nella Chiesa, l’anima dal corpo. La Chiesa, come ogni organismo vivente, ha un corpo, più o meno bello, giovane, attraente, e ha un’anima. Il suo corpo è la realtà visibile e sociale, fatta di persone, riti, tradizioni, leggi, con una storia non sempre irreprensibile alle spalle. La sua anima è la salvezza di cui è portatrice, è il regno di Dio, è lo Spirito Santo. È la comunione invisibile che c’è tra tutti i giusti e i santi, passati, presenti e futuri. Come non è possibile, in un uomo, uccidere il corpo e mantenere in vita solo l’anima, così non è possibile accettare solo la Chiesa invisibile e spirituale, rifiutando la sua espressione storica e visibile. Solo alla fine del mondo, bene e male, saranno definitivamente separati nel mondo e nella Chiesa; farlo prima, ha spiegato Gesù, significherebbe distruggere non solo la zizzania, ma anche il buon grano. Per fortuna, direi, che è così. “Se in questo mondo non ci fosse che male, chi si rassegnerebbe a vivere? E se non ci fosse che bene, chi si rassegnerebbe a morire?” (G. Thibon).
Tutti sogniamo una Chiesa umile, povera, evangelica, distaccata dal potere, tutta e solo dedita al servizio dell’uomo. Ma perché siamo capaci di coltivare un ideale come questo, se non perché la Chiesa lo ha fatto conoscere e lo tiene vivo nel mondo? Avremmo avuto un Francesco d’Assisi senza la Chiesa? Non si può disprezzare la dura corteccia di un albero e nello stesso tempo succhiare con abbondanza la linfa trasmessa e protetta da questa stessa corteccia.
Si dice a volte: “Ma come, e l’incoerenza della Chiesa? E gli scandali, perfino di alcuni papi?”. È verissimo, e oggi li riconosciamo senza mezzi termini. Ma Dio ha deciso di manifestare la sua gloria e la sua onnipotenza proprio attraverso questa stridente debolezza e imperfezione degli uomini, compresi gli “uomini di Chiesa”. Il Figlio di Dio è venuto in questo mondo -diceva lo scrittore scozzese Bruce Marshall- e, da buon falegname qual era, ha raccolto i pezzetti di tavole più sgangherati e bitorzoluti che ha trovato e con essi ha costruito una barca –la Chiesa- che, nonostante tutto, tiene il mare da duemila anni. Basta pensare chi furono e cosa fecero le persone che lui stesso scelse per apostoli: Giuda, Pietro e gli altri … A Gesù non interessa tanto che i pastori della sua Chiesa siano perfetti, quanto che siano misericordiosi.
Stiamo attenti, del resto, a non puntare tanto facilmente il dito contro le “macchie e le rughe” della Chiesa, perché siamo noi stessi che gliele procuriamo! Io sono convinto che la Chiesa avrebbe una ruga in meno, se io avessi commesso nella mia vita peccato in meno. A uno dei Riformatori protestanti che lo rimproverava di rimanere nella Chiesa cattolica, nonostante la sua “corruzione”, Erasmo di Rotterdam rispose un giorno: “Sopporto questa Chiesa, in attesa che divenga migliore, dal momento che anch’essa è costretta a sopportare me, in attesa che io divenga migliore”.
Lo scrittore francese Saint-Exupéry, in un momento oscuro della storia della sua patria, la Francia, sotto l’occupazione nazista, scriveva alcuni pensieri che ogni credente potrebbe far propri nei riguardi della propria Chiesa: “Poiché io sono uno di essi, io non rinnegherò i miei, qualunque cosa facciano. Non predicherò contro di essi davanti ad estranei. Se è possibile prendere la loro difesa, li difenderò. Se mi coprono di vergogna, nasconderò questa vergogna nel mio cuore e tacerò. Qualunque cosa io pensi di essi allora, non servirò mai di testimone a carico. Un marito non va di casa in casa a informare, lui stesso, i vicini che sua moglie è una sgualdrina: non salverebbe in tal modo il suo onore. Poiché la sua sposa è della sua casa, non può farsi bello contro di essa. Piuttosto, una volta rientrato in casa sua, egli darà sfogo alla sua collera”.
Non è detto che si debba tacere, tutti e sempre, nella Chiesa, ma bisogna vedere lo spirito con cui si fa. Quando ci si immedesima con la Chiesa e ci si sente solidali con essa nel bene e nel male, (una volta “rientrato in casa”, direbbe Saint-Exupéry), Dio può comandare anche al più docile figlio della Chiesa, – come erano Rosmini, Don Primo Mazzolari, don Milani e tanti altri-, di alzare la voce contro “le piaghe” e le incoerenze della Chiesa, pagando di persona, se necessario.
Non aspettiamo dunque la nostra morte per “ritornare” alla Chiesa; ritorniamoci, se possibile, da vivi, con i nostri piedi. È deprimente vedere quanti, dopo una vita di assoluto disinteresse, rientrano in una chiesa solo per ricevere il cosiddetto “estremo saluto”. Questo servirà a salvare le apparenze, non a salvare l’anima.
Come conclusione, ricordiamo la domanda che ci siamo posti all’inizio: Cristo ha amato la Chiesa. E tu?