Slide 15 Slide 2 Foto di Filippo Maria Gianfelice

Uguali e diversi - Domenica della Santissima Trinità

Proverbi 8, 22-31; Romani 5,1-5; Giovanni 16, 12-15

Riflettere sul mistero della Trinità è come andare alla scoperta delle nostre radici più profonde, perché noi veniamo dalla Trinità e siamo in cammino verso di essa, come l’acqua dei fiumi viene dal mare e torna al mare. La seconda lettura e il Vangelo ci presentano le fonti bibliche di questo mistero. (Teniamo presente che il termine “Dio”, senza altre aggiunte, nel Nuovo Testamento designa sempre Dio Padre!):

“Giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo… e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio…La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato”.

Le Tre divine persone -il Padre, il Figlio Gesù Cristo e lo Spirito Santo- si intrecciano qui, come si vede, con le tre virtù teologali fede, speranza e carità.
Nel Vangelo, tratto ancora una volta dai discorsi di addio di Gesù, di nuovo si profilano sullo sfondo i tre misteriosi soggetti, inestricabilmente uniti tra loro.

“Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi condurrà alla verità tutta intera…Tutto quello che il Padre possiede è mio [del Figlio]: per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annuncerà”.

Riflettendo su questi e altri testi dello stesso tenore, la Chiesa è giunta alla sua fede nel Dio uno e trino. Molti trovano nella dottrina della Trinità un ostacolo. Dicono: ma cos’è questo rebus di tre che sono uno e di uno che sono tre? Non sarebbe più semplice credere in un Dio unico, punto e basta, come fanno gli ebrei e i musulmani?
La risposta è semplice. La Chiesa crede nella Trinità non perché prenda gusto a complicare le cose, ma perché questa verità le è stata rivelata da Cristo, nel quale ha fiducia che non può né ingannarsi né ingannarci. La difficoltà di comprendere il mistero della Trinità è un argomento a favore, non contro la sua verità. Nessun uomo, lasciato a se stesso, avrebbe mai escogitato un tale mistero. Tertulliano, nell’antichità, diceva: “Credo perché è assurdo”. C’è una parte di vero in questo detto tanto criticato. Vuole dire: credo perché la cosa è superiore alla nostra ragione e se Dio esiste, è normale che superi la nostra ragione. Per poter “com-prendere” (cioè, alla lettera, abbracciare da tutte le parti) Dio, la nostra mente dovrebbe essere più vasta di Dio.
Dopo che questo ci è stato rivelato, intuiamo che, se Dio esiste, non può che essere così: uno e molteplice insieme, cioè al di là della stessa idea che noi abbiamo dell’unità. In lui, unità e diversità si incontrano e si riconciliano. Perché tutte e due le cose -sia l’unità che la diversità- sono dei valori, e Dio non può limitarsi a rappresentare uno solo di questi valori. In Dio, la pluralità non è divisione, ma ricchezza.
C’è anche un’altra ragione che ci fa intuire la verità di questa dottrina. Se Dio è amore (e questo è ciò che afferma il cristianesimo) allora non può essere un Dio solitario, perché l’amore non esiste se non tra due o più persone. Se Dio è amore, ci deve essere, in lui, uno che ama, uno che è amato e l’amore che li unisce. I cristiani sono anch’essi monoteisti; credono in un Dio unico, anche se non solitario. L’unità di Dio, secondo la nostra fede, somiglia più all’unità della famiglia che a quella dell’individuo.
Ma non mi dilungo oltre con le spiegazioni. Vorrei cogliere il grande e formidabile insegnamento di vita che ci viene dalla Trinità. Ecco come il mistero viene formulato nel prefazio della festa:

“Nel proclamare te Dio vero ed eterno,
noi adoriamo la Trinità delle Persone,
l’unità della natura,
l’uguaglianza nella maestà divina”.

Trinità e unità, uguaglianza e diversità: ecco il nucleo del mistero. La Trinità è l’affermazione massima che si può essere uguali e diversi, uguali per dignità e diversi per caratteristiche. E non è, questa, la cosa che abbiamo più urgente bisogno di imparare, per vivere bene in questo mondo? Che si può essere, cioè, diversi per colore della pelle, cultura, sesso, razza, eppure godere di pari dignità, come persone umane?
Questo insegnamento trova il suo primo e più naturale campo di applicazione nella famiglia. La famiglia dovrebbe essere un riflesso terreno della Trinità. Essa è fatta da persone diverse per sesso (uomo e donna) e per età (genitori e figli), con tutte le conseguenze che derivano da queste diversità: diversi sentimenti, diverse esigenze e gusti. Il successo di un matrimonio e di una famiglia dipende dalla misura con cui questa diversità saprà tendere a una superiore unità: unità di amore, di intenti, di collaborazione.
Non è vero che un uomo e una donna debbano essere per forza affini per temperamento e doti; che, per andare d’accordo, debbano essere o tutti e due allegri, vivaci, estroversi, istintivi, o tutti e due introversi, quieti, riflessivi. Sappiamo quali conseguenze negative possono derivare, già sul piano fisico, da matrimoni fatti tra parenti, all’interno di una cerchia ristretta. L’affinità di sangue impoverisce, non arricchisce il patrimonio genetico, e i figli spesso ne mostrano visibilmente le conseguenze. Marito e moglie non devono essere uno “la dolce metà” dell’altro, nel senso di due metà perfettamente uguali, come una mela tagliata in due, ma nel senso che ognuno è la metà mancante dell’altro e il complemento dell’altro. Questo intendeva Dio quando disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto simile a lui” (Genesi 2,18). Tutto questo però suppone lo sforzo per accettare la diversità dell’altro, che è per noi la cosa più difficile e in cui solo i più maturi riescono.
Vediamo così, ancora una volta, come sia errato considerare la Trinità un mistero remoto dalla vita, da lasciare alla speculazione dei teologi. Al contrario, esso è un mistero vicinissimo; e il motivo è molto semplice: noi siamo stati creati a immagine del Dio uno e trino, ne portiamo l’impronta, siamo chiamati a realizzare la stessa sublime sintesi di unità e diversità.
Quello che ho cercato di dire fin qui con le parole, si può dire anche con un mezzo tutto diverso: il colore. La più celebre rappresentazione della Trinità è l’icona russa di Nicola Rublev. Essa si ispira a un episodio della Bibbia. Un giorno, mentre si trovava presso le Querce di Mamre, Abramo ricevette la visita di tre misteriosi personaggi. Pur essendo tre, egli li saluta dicendo “mio Signore”, come se fossero uno solo (cfr. Genesi 18, 3). Questo particolare ha indotto i Padri a vedere nella apparizione un simbolo, o una prefigurazione della Trinità.
Le tre divine Persone hanno, nell’icona, le sembianze di tre angeli. Il mistero di Dio “uno” e “trino” viene espresso dal fatto che le figure presenti sono tre e ben distinte, ma somigliantissime tra loro. Esse sono contenute idealmente come dentro un cerchio che mette in luce la loro unità; ma con il loro diverso movimento e disposizione proclamano anche la loro distinzione. Si pensa che il Padre sia l’angelo di sinistra, l’unico che ha il capo eretto, mentre il Figlio Gesù Cristo è l’angelo al centro e lo Spirito Santo quello di destra. Tutti e due, il Figlio e lo Spirito Santo, con il loro capo inclinato proclamano che il Padre è la fonte e l’origine di tutta la Trinità e che essi procedono da lui. Tutti e tre indossano una veste di colore azzurro, segno della natura divina che hanno in comune. Ma sopra, o sotto, di essa ognuno riveste un colore che lo distingue dall’altro: il Padre, una veste dai colori indefinibili, fatta quasi di pura luce, segno della sua invisibilità e inaccessibilità (“Nessuno ha mai visto il Padre”); il Figlio, una tunica scura, segno della umanità che ha rivestito; lo Spirito Santo, un manto verde, segno della vita, essendo egli colui “che dà la vita”. Il verde è il colore della vita che si ridesta e sboccia.
Tutto nell’icona è simbolico. L’alberello oscuro sullo sfondo ricorda le querce di Mamre; il rettangolo sul davanti della mensa indica la terra. La mensa, sopra la quale c’è una coppa con dentro l’agnello, richiama l’Eucaristia. Un modo stupendo per dire che la Trinità intera ci dona l’Eucaristia e si dona a noi nell’Eucaristia. Nell’Eucaristia noi diventiamo “commensali” dei Tre; occupiamo quel posto vuoto sul davanti, necessario per chiudere il cerchio dell’icona.
Stando a lungo in contemplazione davanti a questa icona, si intuiscono più cose sulla Trinità che non leggendo interi trattati su di essa. L’icona è una finestra aperta sull’invisibile. Soprattutto una cosa colpisce: la pace profonda e l’unità che emana dall’insieme. Ci vengono in mente le parole con cui inizia un inno della Chiesa: “O Trinità beata, / oceano di pace, / la Chiesa a te consacra / la sua lode perenne”.
Il santo per il cui monastero fu dipinta l’icona, san Sergio, si era distinto nella storia russa per aver riportato l’unità tra i capi in discordia tra di loro e così aver reso possibile la liberazione della Russia dai Tartari che l’avevano invasa. Il suo motto era: “Contemplando la Santissima Trinità, vincere l’odiosa divisione di questo mondo”.
Penso che sia il grande messaggio che la Trinità ha da dare anche al mondo d’oggi: contemplare la Trinità per vincere l’odiosa divisione nelle famiglie e nella società e superare le discriminazioni di ogni tipo che affliggono il mondo. L’invito che sembra di udire, ogni volta che si contempla questa icona, è: “Siate una cosa sola, come noi siamo una cosa sola”.