Slide 15 Slide 2 Foto di Filippo Maria Gianfelice

MARIA, LA DONNA DOCILE ALLO SPIRITO

Convegno Nazionale Teologico – Pastorale “Lo Spirito Santo che è Signore e dà la vita”
Intervento conclusivo nell’aula Paolo VI, 11 Febbraio 1998

La fede di Maria

Quando Maria giunse da Elisabetta, questa, “piena di Spirito Santo”, esclamò: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1, 45). Maria ha creduto quando ha risposto all’angelo: “Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38). Con questa sua risposta – scrive Origene – è come se ella dicesse a Dio: “Eccomi, sono una tavoletta da scrivere: lo Scrittore divino scriva ciò che vuole, faccia di me ciò che vuole il Signore di tutto“ . Paragona Maria alla tavoletta cerata che si usava, al suo tempo, per scrivere. Maria, diremmo noi oggi, nell’Annunciazione si offre a Dio come una pagina bianca, sulla quale egli può scrivere tutto ciò che vuole.
“La Vergine Maria -scrive S. Agostino- partorì credendo, quel che aveva concepito credendo… Dopo che l’angelo ebbe parlato, ella, piena di fede (fide plena), concependo Cristo prima nel cuore che nel grembo, rispose: ‘Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola’” . Alla pienezza di grazia da parte di Dio, corrisponde dunque la pienezza della fede da parte di Maria; al gratia piena , il fide piena.
A prima vista, quello di Maria fu un atto di fede facile e perfino scontato. Diventare madre di un re che avrebbe regnato in eterno sulla casa di Giacobbe, madre del Messia! Non era quello che ogni fanciulla ebrea sognava di diventare? Ma questo è un modo di ragionare assai umano e carnale. La vera fede non è mai un privilegio o una marcia trionfale; è sempre un camminare nelle tenebre e un morire alla propria ragione. Così fu soprattutto la fede di Maria.
Dio non inganna mai; non strappa surrettiziamente il consenso alle sue creature, nascondendo loro le conseguenze cui andranno incontro con il loro “sì”. Lo vediamo in tutte le grandi chiamate di Dio. A Geremia Dio annuncia apertamente: “Ti muoveranno guerra” (Ger 1, 19); parlando di Saulo, dice ad Anania: “Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome” (At 9, 16). Solo con Maria, per una missione come la sua, avrebbe agito diversamente? Nella luce dello Spirito Santo, ella ha certamente intravisto che anche il suo cammino non sarebbe stato diverso da quello di tutti gli altri chiamati. Soprattutto da quello del Servo sofferente di Jahvè. Del resto, Simeone, ben presto, darà espressione a questo presentimento, quando le dirà che una spada le avrebbe trapassato l’anima.
Ma già sul piano semplicemente umano, Maria viene a trovarsi in una totale solitudine. A chi può spiegare ciò che è avvenuto in lei? Chi la crederà quando dirà che il bimbo che porta nel grembo è “opera dello Spirito Santo” ? Questa cosa non è avvenuta mai prima di lei e non avverrà mai dopo di lei. Maria conosceva certamente ciò che era scritto nel libro della legge e cioè che se la fanciulla, al momento delle nozze, non fosse stata trovata in stato di verginità, doveva essere fatta uscire all’ingresso della casa del padre e lapidata dalla gente del villaggio (cf Dt 22, 20 s). Noi parliamo volentieri oggigiorno del rischio della fede, intendendo, in genere, con ciò, il rischio intellettuale. Ma per Maria si trattò di un rischio quanto mai reale!
Se credere è “inoltrarsi per quella strada dove tutti i cartelli indicatori gridano: Indietro, indietro!”; se è un “venirsi a trovare in mare aperto, là dove ci sono il cielo sopra di te e settanta stadi di profondità sotto di te”; se credere è “compiere un atto tale che per esso uno si viene a trovare completamente gettato in braccio all’Assoluto” (sono tutte immagini del filosofo Kierkegaard), allora non c’è dubbio che Maria è stata la credente per eccellenza, di cui non ci potrà essere mai l’eguale.
Ella si è venuta a trovare davvero gettata completamente in braccio all’Assoluto. Ella è l’unica ad aver creduto “in situazione di contemporaneità”, cioè mentre la cosa accadeva, prima di ogni conferma da parte degli eventi successivi , Ha creduto in quello che stava accadendo, non (come noi) in quello che accadde un tempo e che venti secoli hanno dimostrato essere vero. Gesù disse a Tommaso: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” (Gv 20, 29). Maria è la prima di coloro che hanno creduto, senza aver visto.
Maria, d’altra parte, ha creduto subito, non ha sospeso il giudizio, in attesa degli sviluppi della cosa. Non ha detto tra sé quello che si è soliti dire in questi casi: “Se son rose fioriranno“. Maria credette all’istante. Ché se non avesse creduto, il Verbo non si sarebbe fatto carne in lei, ed ella, di lì a poco, non sarebbe stata al terzo mese, né Elisabetta avrebbe potuto salutarla chiamandola “madre del Signore”.
Di Abramo, in una situazione simile, quando anche a lui fu promesso un figlio benché in tarda età, la Scrittura dice, quasi con aria di trionfo e di stupore: “Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia” (Gn 15, 6). Ma quanto più trionfalmente ciò si dice, presso di noi, di Maria! Maria ebbe fede in Dio e ciò le fu accreditato come giustizia. Il più grande atto di giustizia mai compiuto sulla terra da un essere umano, dopo quello di Gesù, che però è anche Dio.
San Paolo dice che Dio ama chi dona con gioia (2 Cor 9, 7) e Maria ha detto a Dio il suo “sì” con gioia. Il verbo con cui ella esprime il suo consenso, e che è tradotto con “fiat”, con “si faccia”, nell’originale, è all’ottativo (génoito). Esso non esprime una semplice rassegnata accettazione, ma vivo desiderio. Come se dicesse: “Desidero anch’io, con tutto il mio essere, quello che Dio desidera; si compia presto ciò che egli vuole”. “Il mio cuore è pronto per te, per te, mio Dio” (Sal 108,2).
Veramente, Maria non disse fiat che è parola latina; non disse neppure génoito che è parola greca. Che cosa disse allora? Qual è la parola che, nella lingua parlata da Maria, corrisponde più da vicino a questa espressione? Cosa diceva un ebreo quando voleva dire “così sia”? Diceva semplicemente amen! Se è lecito cercare di risalire, con pia riflessione, alla ipsissima vox, alla parola esatta uscita dalla bocca di Maria – o almeno alla parola che c’era, a questo punto, nella fonte giudaica usata da Luca -, questa deve essere stata proprio la parola amen. Amen – parola ebraica, la cui radice significa solidità, certezza – era usata nella liturgia come risposta di fede alla parola di Dio. Ogni volta che, al termine di certi Salmi, nella Volgata si legge fiat, fiat (nella versione dei Settanta: génoito, génoito), l’originale ebraico, conosciuto da Maria, porta: amen, amen!
Dicendo amen si riconosce quel che è stato detto come parola ferma, stabile, valida e vincolante. Il suo significato completo, quando è risposta alla parola di Dio, è: “così è e così sia”. Indica fede e obbedienza insieme; riconosce che quel che Dio dice è vero e vi si sottomette. E dire “ sì” a Dio. In questo senso lo troviamo sulla bocca stessa di Gesù: “ Sì, amen, Padre, perché così è piaciuto a te… “ (cf Mt 11, 26). Gesù anzi è l’Amen personificato: “Così parla l’Amen…” (Ap 3, 14) ed è per mezzo di lui che ogni altro amen pronunciato sulla terra sale ormai a Dio (cf 2 Cor 1, 20). Anche Maria è, a suo modo, un amen personificato a Dio. “In un istante che però non tramonterà mai e che resta valido per tutta l’eternità -scrive K. Rahner- la parola di Maria fu la parola dell’umanità intera, il suo ‘sì’, l’amen di tutta la creazione a Dio”.

Un “si” allo Spirito

Cosa c’è all’origine di questo grande “sì” di Maria? Due cose, una più misteriosa dell’altra: la grazia e la libertà. S. Paolo scrive: “Per grazia siete salvi mediante la fede; e ciò (vale a dire: l’essere salvi mediante la fede!) non viene da voi, ma è dono di Dio” (Ef. 2, 8). La stessa fede che ci salva non viene da noi, ma è dono di Dio. Così fu la fede di Maria: frutto della grazia, prima ancora che della sua libertà.
Il “sì“ di Maria, in altre parole, fu suscitato in lei dallo Spinto Santo. Scrive Giovanni Paolo II nella “Dominum et vivificantem”: “Lo Spirito Santo, che con la sua potenza adombrò il corpo verginale di Maria, dando in lei inizio alla maternità divina, nello stesso tempo rese il suo cuore perfettamente obbediente nei riguardi di quella autocomunicazione di Dio, che superava ogni concetto e ogni facoltà dell’uomo…Maria è entrata nella storia della salvezza del mondo mediante l’obbedienza della fede. E la fede, nella sua più profonda essenza, è l’apertura del cuore umano davanti al dono: davanti all’autocomunicazione di Dio nello Spirito Santo” .
Di Gesù è scritto che “con uno Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio” (cf Eb 9, 14). Anche Maria offrì se stessa a Dio “in uno Spirito eterno”, cioè nello Spirito Santo, mossa da lui. “Lo Spirito Santo scenderà su di te…”, aveva appena detto l’angelo, e Maria rispose: “fiat”. Disse “fiat” all’azione dello Spirito.
Lo Spirito Santo non le è promesso solo per concepire Cristo nel suo corpo, ma anche per concepirlo, per fede, nel suo cuore. Se senza lo Spirito Santo non possiamo neppure dire: “Gesù è il Signore!” (cf 1 Cor 12, 3), che pensare di questo “fiat” di Maria dal quale dipendeva, in un certo senso, il farsi uomo del Verbo e l’esistenza stessa del Signore? Così si compiono sempre le grandi obbedienze, a partire da quella di Cristo: Dio infonde nel cuore della creatura, mediante lo Spirito Santo, la carità, e la carità spinge la creatura a fare volentieri ciò che Dio vuole. Dio non impone la sua volontà, ma dona la carità.
L’amore, dice Dante, “a nullo amato amar perdona”; cioè, difficilmente permette, a chi è amato, di non riamare a sua volta. Questo spiega l’arrendersi di Maria; ella si sente amata da Dio ed è questo amore che la spinge a darsi a lui con tutto il suo essere. Un’esperienza simile si legge nella vita di santa Teresa del Bambin Gesù, nel momento di offrirsi a Dio per sempre: “ Fu – scrive – un bacio d’amore: mi sentivo amata e dicevo a mia volta a Dio: Ti amo, mi do a te per sempre“ .
Paolo VI, nella “Marialis cultus” ha messo bene in luce questo che egli chiama “l’aspetto sponsale del rapporto tra lo Spirito Santo e Maria” . Il “sì” di Maria è il “sì” nuziale della sposa il giorno delle nozze, ed è su ciò che si fonda il titolo di “sposa dello Spirito Santo” che lo stesso Paolo VI, indirettamente, attribuisce alla Vergine in quel contesto.
Non dovremmo però riportare l’impressione che Maria abbia creduto una volta e poi basta nella sua vita; che ci sia stato un solo grande atto di fede nella sua vita, quello al momento dell’incarnazione. Ci sfuggirebbe l’essenziale. Le opere di Dio seguono una logica molto diversa da quella umana. Non si impiantano in un soggetto libero e sottoposto al divenire, in modo meccanico, una volta per sempre, con una promessa iniziale, dopo la quale tutto diventa semplice e chiaro, come un copione già tutto scritto che si deve solo seguire e recitare.
Il Concilio Vaticano II e, dietro di esso, il papa attuale, nella enciclica “Redemptoris Mater”, ci hanno fatto un grande dono, affermando che anche Maria ha camminato nella fede, anzi che ha “progredito“ nella fede, cioè è cresciuta e si è perfezionata in essa . Se anche Gesù, nel Getsemani, ha vissuto la sua notte oscura dello spirito, come pensare che non l’abbia sperimentata la Madre che gli è stata “associata” in tutto il mistero della redenzione? Anche Maria, come Cristo, è stata “provata in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato” (Eb 4, 15). Escluso solo il peccato!

Docili allo Spirito, come Maria

Come la scia di un bel vascello va allargandosi fino a sparire e a perdersi all’orizzonte, ma comincia con una punta, che è la punta stessa del vascello, così è dell’immensa scia dei credenti che formano la Chiesa. Essa comincia con una punta e questa punta è la fede di Maria, il suo “fiat” in crescendo da Nazareth al Calvario. Per il solo fatto di credere, noi ci troviamo nella scia di Maria, “la prima credente”, e vogliamo ora approfondire cosa significa seguire davvero la sua “scia”. “Maria, scrive S. Agostino, credette e in lei quello che credette si avverò. Crediamo anche noi, perché quel che si avverò in lei possa giovare anche a noi” .
Crediamo anche noi! Che significa? Se, nella sua più profonda essenza, credere, come ci ha ricordato il papa, è aprire il cuore a Dio che si comunica a noi nello Spirito, allora tutto quello che si deve fare è un atto di incondizionato abbandono al Paraclito, una rinnovata decisione di “lasciarci guidare dallo Spirito” (cf. Gal 5,18). La contemplazione della fede di Maria ci aiuta così a scoprire qual è la cosa più bella e più necessaria che possiamo fare in questo anno dedicato allo Spirito Santo, il suo frutto spirituale più profondo e duraturo: un interiore atto di affidamento allo Spirito.
A partire da S. Luigi Grignion de Montfort, la spiritualità cattolica ha dato grande rilievo alla pratica dell’affidamento a Maria. Oggi è convinzione di molti teologi (H. Mühlen, von Balthasar, Congar) che, nel fare questo, a volte, in passato si è ignorato il ruolo dello Spirito Santo, attribuendo a Maria prerogative chiaramente riservate, nella Scrittura, al Paraclito. E’ significativo, a questo riguardo, il testo di un grande predicatore del Quattrocento, ripreso in seguito innumerevoli volte: “Ogni grazia che viene comunicata in questo mondo, arriva mediante un triplice movimento. Perché essa viene dispensata secondo un ordine molto perfetto: da Dio al Cristo, dal Cristo alla Vergine, dalla Vergine a noi” . Lo Spirito Santo è lasciato fuori proprio nell’opera che gli è propria del conferimento della grazia.
Non si tratta di abbandonare ora l’affidamento a Maria, per sostituire ad esso quello allo Spirito Santo, ma di scoprire il vero senso dello stesso affidamento a Maria. Questo non deve servire da surrogato, ma da supporto a quello. In altre parole: noi ci affidiamo a Maria perché ella ci aiuti ad affidarci allo Spirito come vi si affidò lei. Perché ci insegni i segreti di quest’arte meravigliosa che fa i santi. E’ così che si realizza quella adeguazione del culto mariano alle esigenze nuove della pneumatologia, che Paolo VI auspicava nella “Marialis cultus”, quando diceva che, nella devozione alla Madonna, “si deve dare adeguato risalto alla persona e all’opera dello Spirito Santo” .
E’ sorprendente notare come le parole stesse con cui S. Grignion de Montfort descrive l’affidamento a Maria si adattino a meraviglia per esprimere anche l’affidamento allo Spirito. Leggiamo cambiando appena l’espressione “spirito di Maria” con “Spirito Santo”: “Dobbiamo abbandonarci allo Spirito Santo, per essere mossi e guidati secondo il suo volere. Dobbiamo metterci e restare tra le sue mani come uno strumento tra le mani di un operaio, come un liuto tra le mani di un abile suonatore. Dobbiamo perderci e abbandonarci in lui come una pietra che si getta nel mare. E’ possibile fare tutto ciò semplicemente e in un istante, con una sola occhiata interiore o un lieve movimento della volontà, o con qualche breve parola” .
Cosa significa, in pratica, essere docili allo Spirito Santo, a me lo ha insegnato una bambina di cinque anni. Una volta chiesi a una bambina cosa significava per lei obbedire, aspettandomi che mi rispondesse: “Fare quello che dice la mamma”, o qualcosa del genere. Mi rispose: “Non lo sai? Obbedire è così: lo Spirito Santo dice a Gesù: ‘Facciamo questo’, e Gesù risponde: ‘Va bene!’. Lo Spirito Santo dice a te (e indicava me): ‘Facciamo questo’, e tu rispondi: ‘Va bene!”.
Una risposta teologicamente e cristologicamente perfetta. Non si potrebbe descrivere meglio quella che chiamiamo “docilità alle ispirazioni”. “Va bene” è un altro modo di dire “fiat” e amen. Chi le avesse suggerito questa risposta non l’ho mai saputo. L’unica spiegazione è quella della Scrittura: “Ex ore infantium et lactentium…”, “dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurato lode” (Sal 8, 3; Mt 21, 16).

Termino con un ricordo che mi riporta col pensiero santuario di Loreto dove ho passato i miei quattro anni di preparazione al sacerdozio proprio nell’ultimo piano del Palazzo Apostolico che sovrasta la piazza del santuario. Da aprile a ottobre, ogni sera sfilavano sotto di noi i malati venuti con i treni dell’UNITALSI da ogni regione d’Italia. Un canto aveva soprattutto il potere di commuovermi, fino a far scendere qualche volta lacrime sul libro di teologia che avevo sotto gli occhi. La melodia era quella della canzone “Dell’aurora tu sorgi più bella”, ma il ritornello era cambiato. Diceva:

“Mamma, dolce speranza,
cresca la nostra fede:
questo solo ti chiede
l’ammalato che spera in te”.

Erano in barella, chi paralitico, chi cieco, chi con altre malattie, ma chiedevano a squarciagola, per ore ed ore, una cosa sola: “Cresca la nostra fede!”. Non potremmo terminare con una preghiera migliore la nostra riflessione sulla fede di Maria: “Mamma, dolce speranza, cresca la nostra fede! Cresca, dietro di te, la nostra docilità allo Spirito Santo!”.